(di Paolo Danieli) La celebrazione strage di Bologna del 2 agosto 1980 è stata un’occasione persa per dare ai familiari delle 85 vittime una spiegazione sulla sua vera matrice.
Dopo 44 anni e numerosi processi, l’unica verità che abbiamo è la verità giudiziaria che ha condannato come esecutori materiali alcuni appartenenti alla galassia neo-fascista di quegli anni. Una condanna appannata da molte ombre. Non ultima quella relativa a Giusva Fioravanti e Francesca Mambro che, pur condannati ad altri ergastoli per altri delitti, hanno sempre sdegnosamente rifiutato di accollarsi quella strage.
Quella dei giudici è una verità monca. Non dice chi sono i mandanti. E quindi non può nemmeno stabilirne la matrice, dato che solo conoscendo chi l’ha organizzata e lo scopo per il quale è stata attuata si può capire il disegno politico che l’ha sottesa.
Per conoscere il motivo di un delitto non basta individuare il sicario. Allo stesso modo per scoprire chi ha ordinato quella strage e le altre stragi tra il 1969 e in primi anni ’80 non basta individuare chi ha materialmente messo la bomba. Poterebbero anche essere state delle persone prezzolate. O un esaltato. O un utile idiota. Ma non è dalla sua identità che si può desumere la matrice della strage.
La strage e la strategia della tensione
In quegli anni i servizi avevano fatto un grande uso delle frange più estreme, sia di destra che di sinistra. In tutte la stragi, da piazza Fontana in poi, sono sempre comparsi e scomparsi agenti dei servizi. Poi, magari, se la sono sempre cavata in qualche modo. Ma qualcosa vorrà pur dire.
Dopo quasi mezzo secolo qualche pezzo di verità di tanto in tanto affiora. Qualcuno parla, salta fuori qualche documento o qualche testimonianza inedita, magari di qualche ufficiale poco prima di morire. Ecco allora che si comincia a comporre un quadro che, collegando i diversi episodi della strategia stragista che ha insanguinato l’Italia di quegli anni, ci fa capire che sono stati i tasselli di un mosaico terroristico che per essere attuato aveva bisogno non solo di una programmazione e di una finalizzazione politica, ma di tutta una struttura organizzativa che non poteva essere gestita da quattro bombaroli.
Dietro i terroristi, poco importa se rossi o neri, c’erano i servizi. E’ risultato anche nei vari processi. Ma per coprirli e per giustificare i numerosi depistaggi, hanno inventato la storia dei “servizi deviati”. Deviati da cosa? Per definizione non è dato di sapere quale sia la retta via che i servizi segreti devono seguire. Di conseguenza come si può parlare di “deviazione”?
La strategia della tensione attuata con il terrorismo non può che essere opera loro. E siccome l’Italia dal 1945 in poi è a sovranità limitata e quindi anche i nostri servizi sono sottoposti a più alta autorità, non ci vuole molto a capire la matrice di quella strategia che va da piazza Fontana e arriva a Bologna passando anche per l’assassinio di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse.
Peccato che sia il Presidente della Repubblica che il ministro degli Interni siano ancora fermi al terrorismo fascista inciso sulla lapide che ricorda i morti, ignorando completamente la verità storica che sta via via emergendo.
L’unico, diamogliene atto, che nel commemorare le vittime di quella strage ha avuto l’intelligenza di andare oltre è stato il presidente del Senato Ignazio La Russa quando ha chiesto che si prosegua “l’opera di desecretazione degli atti delle commissioni parlamentari d’inchiesta, per fare luce su ogni ombra del nostro passato e rendere giustizia a tutte le vittime del terrorismo”. Ecco togliere il segreto di stato. E già il fatto che il segreto di stato sia stato posto la dice lunga.