(di Sebastiano Saglimbeni) Lucania poesia. Il patrimonio poetico di Orazio è stato tanto studiato e diffuso. Ancora si ristudia con saggi e traduzioni. Perché è un inossidabile  classico, quanto altri della nostra Letteratura latina. Ogni quando si parla della Lucania colta si pronuncia il suo nome, magari con qualche intercalare, da chi l’ha studiato e l’ha ritenuto a memoria, di alcuni suoi versi.

Come, ad esempio, “Est qui nec veteris pocula Massici/nec partem solido demere de die/spernit,nunc viridi membra sub arbuto/ stratus, nunc ad aquae lene caput sacrae”.(trad.”C’è chi non disdegna i bicchieri del Massico invecchiato/ o di trascorrere un tratto della giornata/sdraiato, ora sotto un verde  corbezzolo,/ ora accostato alla sorgente gorgogliante di acqua sacra”). 

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Della Lucania si discute e si scrive dei vari dialetti, quelli degli indigeni e quelli importati. Sicuramente, come in ogni regione, vi è stato  un etnologo che ha bene  studiato, raccolto i vari dialetti e li ha trascritti con un criterio di scientificità, non per diletto, ricavandone saggezze, risposte, difese, formule magiche, indovinelli, preghiere  e altro. Ne sapeva, a proposito, qualcosa lo scrittore Giovanni Sarubbi, lucano che visse nell’Irpinia, dove è morto alcuni anni fa.

Nel nostro tempo, la Lucania ha avuto una sua consistente divulgazione, complice quel romanzo del perseguitato dal regime fascista, Carlo Levi, che da estraneo, ma da pittore e scrittore, ha, con le sue opere, Cristo si è fermato ad Eboli contribuito a far conoscere ancora questa terra, quella  preindustriale ed emarginata.

Nel secolo scorso, alcuni  poeti hanno fatto sentire la purezza della loro lingua con la poesia, soprattutto. Sono: Leonardo Sinisgalli, Rocco Scotellaro e, molto più vicino a noi, Albino Pierro, un autore che si è espresso con un dialetto tutto suo, si dice, pure in parte ripescato nella sua antica Tursi.

Lucania poesia, dove c’è, con probabilità, chi non ti invita a riempirti di formaggio o di carne o di selvaggina, ma di pere, perché ci sono  nelle campagne educate dal contadino che non ha salpato per altre terre. Come al tempo di Orazio che scriveva nella settima Epistola: “….piris vesci Calaber iubet hospes”. Il Calaber era anche l’antico lucano o l’antico pugliese? L’Epistola è rivolta a  Mecenate  che lo aveva reso ricco,  quanto il suo amico mantovano Virgilio. Entrambi – vale ricordarlo –  cortigiani.

Lucania poesia, da dove, tanti e tanti  se ne sono andati per vivere negli Stati uniti di America, in Argentina, in Venezuela, in Australia, in Germania o, rimasti nel Paese, nelle terre opulente della Lombardia o del Veneto.

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Lucania a Verona

A  Verona  ci sono  diversi lucani. Alcuni hanno fatto conoscere la loro storia culturale. Sono stati, ad esempio, l’oncologo, pure autore e studioso di poetiche, Michele Nigro, Cosimo Lerose, pittore di spicco e d’avanguardia e Maria Cera. Lerose e Cera ci hanno lasciati. La donna in un Caffè di via  Roma aveva curato incontri culturali, riguardanti la sua terra. E’ stata lei a pronunciare alcune conferenze, sia pure per pochi, sulla sventurata Isabella  Morra, che – secondo un abietto oscurantismo mentale antico – aveva disonorato la famiglia perbene, complice la sua passione di scrivere versi e di comunicare con un uomo del suo tempo illuminato.

Pure, Maria aveva rinfrescato la memoria di Albino Pierro, i cui versi erano arrivati, più di una volta, a suscitare interessi all’Accademia di Svezia, che lo aveva candidato  al Premio Nobel ed era, arrivato nel 1986 e nel 1966, secondo. L’Università di Stoccolma lo invitò per la lettura delle sue singolarissime poesie. Maria, su una semplice rivista, dal titolo “Pagine Lucane”, che si pubblica a Grugnasco, provincia di Torino, aveva divulgato un ricco testo sul Castello di Tursi con riferimenti ad Albino Pierro,  nato a Rabatana di Tursi e morto a Roma nel 1995. E’ stato tradotto in diverse lingue e consacrato tra i grandi lirici del secolo scorso.