(di Bulldog) Alla fine il giovane-vecchio democristiano ce l’ha fatta: Raffaele Fitto sarà il vicepresidente esecutivo con delega a economia e Pnrr. L’indiscrezione è arrivata ieri dal quotidiano tedesco Die Welt.

Se così finirà  (e Die Welt non è famoso per spararle grosse) per Giorgia Meloni si chiuderebbe nel migliore dei modi la partita Unione Europea. E’ riuscita nell’equilibrio di dire no politicamente a Ursula von der Leyen, non mancando al suo mantra “Mai al governo con le sinistre”, e di ottenere un posto da vicepresidente con portafoglio per il rappresentante italiano nella Commissione. Questo successo che zittisce le Cassandre woke italiane, ha però il suo conto da pagare.

Il governo di Roma – con Fitto che dovrà gestire un portafoglio da 700 miliardi – non potrà però essere più il “cattivo della classe” riguardo ai conti pubblici. Non potrà giocare con gli zero virgola e coi bonus. Dovrà fare una legge Finanziaria 2025 seria e presentare un piano di rientro a sette anni che rappresenterà questa volta  non le promesse di un governo levantino, ma la parola d’onore di uno degli stakeholder più importanti del governo dell’Unione. Se su questo Meloni e Giorgetti sapranno essere convincenti – sforbiciando le marchette inutili di cui è pieno il nostro bilancio – avranno in cambio anche una maggiore facilità di veder acquistati i titoli del Tesoro abbattendone ulteriormente il costo.

Roma si confermerà a fine della giostra delle nomine uno dei Paesi più affidabili per la von der Leyen – Germania e Francia sono in crisi politica profonda, la Spagna è avvitata su se stessa e la questione catalana mentre la Polonia pensa quasi esclusivamente ad una escalation contro la Russia – e questo renderà ancora più salda la poltrona di Palazzo Chigi nonostante le schiappe che Meloni ancora tiene nel governo: difficile comprendere cosa trattenga ancora Sangiuliano e Santanchè nell’esecutivo nazionale e quali vantaggi portino al Paese. Certo, ogni governo italiano ha avuto della zavorra da portarsi appresso, ma questa non è una ragione sufficiente per non mettere mano velocemente alla compagine ministeriale.

E pure oltre oceano la premier rischia di cadere in piedi: non sarà costretta a dichiararsi pro Trump o pro Harris per ragioni istituzionali, ma a fine mese verrà premiata negli USA da Elon Musk (trumpiano) e potrà comunque contare sull’appoggio di nonno Joe alla Casa Bianca sino a gennaio. L’autunno meloniano, insomma, potrebbe rivelarsi meno gramo del previsto.

Oltre a Fitto, Die Welt elenca altri nomi di papabili vicepresidenti esecutivi: il commissario lettone uscente Valdis Dombrovskis si occuperà della ricostruzione dell’Ucraina; la candidata spagnola Teresa Ribera, già ministro dell’Ambiente nel governo socialista di Pedro Sanchez, sarà responsabile della transizione. E ancora, il francese Thierry Breton, altro commissario uscente, destinato al dossier Industria e autonomia strategica e l’olandese Wopke Hoekstra, altro volto noto della scorsa Commissione, al Commercio. All’Energia dovrebbe andare, invece, il ministro dell’Industria ceco, Josef Sikela. La nuova squadra di Palazzo Berlaymont dovrebbe essere annunciata entro il fine settimana.