(di Giorgio Massignan) La mobilità urbana risulta essere uno dei problemi più importanti e con le maggiori difficoltà di soluzione.  Nell’immaginario collettivo, la panacea ai mali del traffico è il traforo della collina e il conseguente collegamento diretto della Valpantena con la Valpolicella. Ma sarà realmente così o si tratta di un’illusione per non modificare i nostri modelli di mobilità?

A grandi linee, si ipotizza  un’infrastruttura che dovrebbe partire da Poiano, bucare la collina di Avesa, per uscire in zona Ponte Crencano, sotto San Rocchetto, per poi proseguire verso il Saval. 

Su questa ipotesi si sono prodotte varie soluzioni, le due principali sono: 

1) il grande traforo proposto dall’ex sindaco Flavio Tosi, su cui basava l’intero sistema della mobilità. Si trattava di una complanare nord che avrebbe collegato il casello di Verona est con quello di Verona nord, attraversando l’Adige con un ponte a Parona  e, collegandosi con la strada di Gronda, avrebbe raggiunto il casello di Verona nord, circondando e chiudendo la città con un nastro di asfalto. Si trattava di un intervento a scala autostradale che difficilmente avrebbe risolto i problemi del traffico cittadino e, in particolare, quelli dell’attraversamento di Veronetta per collegare Borgo Venezia con Borgo Trento. Non va inoltre dimenticato che Verona, per la sua posizione geografica, con la conseguente carenza di ricambio d’aria e per la presenza di un elevato flusso di traffico sulle tratte stradali e autostradali, è particolarmente soggetta all’inquinamento atmosferico, infatti, risulta la città più inquinata d’Italia. 

La mobilità secondo Massignan. Il traforo non è la panacea

2) Il traforo leggero, proposto dall’ex sindaco Federico Sboarina. Di fatto ricalca il percorso del progetto tosiano, ma si ferma in zona Saval, non attraversa l’Adige e non chiude la complanare al casello di Verona nord. 

Personalmente, ritengo che una tangenziale, che parte da Poiano per arrivare al Saval, non sia la più idonea per risolvere l’attraversamento di Veronetta o lo scollinamento delle Torricelle da Porta Vescovo a San Giorgio. Sia l’ipotesi di Tosi che quella di Sboarina riguardano infrastrutture a livello extraurbano.  

Inoltre, con queste scelte, si delega nuovamente la soluzione della mobilità cittadina al trasporto privato a motore, quando la tendenza in tutta Europa è di privilegiare il trasporto pubblico. 

Londra, per esempio, entro il 2024, intende imporre una tassa a coloro che usano l’auto privata in certe zone urbane.  Nelle principali città europee, stanno realizzando dei sistemi di mobilità efficaci e non inquinanti, basati sul trasporto pubblico e sui percorsi ciclabili. 

Sono convinto che non esista l’infrastruttura viabilistica come panacea, ma che il sistema della mobilità vada progettato organicamente con le scelte urbanistiche sull’uso del territorio, partendo proprio da un piano della mobilità che preveda di cambiare il modello dei trasporti urbani, privilegiando quello pubblico e quello ciclabile, oltre che ridurre quello privato a motore. Un piano che preveda scelte ed interventi nei diversi settori della mobilità.

Inoltre, andrebbero analizzati anche i diversi attrattori di traffico e le ore di maggior intensità dei flussi nelle arterie che li servono, per programmare e differenziare le aperture e le chiusure degli stessi. Da tenere presente che a Verona, ogni giorno, circolano in città oltre 150 mila auto, la metà nelle ore di punta, e che sono oltre 35.000 gli italiani che ogni anno muoiono a causa dell’inquinamento atmosferico.  Questa situazione, provocata soprattutto dall’inquinamento dei gas di scarico dei mezzi a motore, temo non sarà modificata dal sistema del filobus che, purtroppo, non potrà dare le risposte necessarie a diminuire la mobilità privata a motore. 

Mobilità e verde

A questo punto è spontaneo chiedersi che fare? Si potrebbe rispondere che è ancora possibile collegare il sistema della mobilità con il sistema del verde, realizzando un anello verde di circa 30 chilometri che colleghi le fortificazioni cosiddette extra moenia, come i forti S. Caterina, Tomba, Azzano, Dossobuono, Lugagnano, S. Zeno, Chievo, Parona e S. Procolo, tutti localizzati in aree agricole. Da questo anello potrebbero partire dei raggi verdi che comunicherebbero con le aree a parco e piantumate come il proposto Scalo Merci della Ferrovia, la Spianà e il parco dell’Adige nord e sud. Un secondo anello verde comprenderebbe, per circa 11 chilometri, l’intera cinta delle mura magistrali.  La possibilità di ricucire strutturalmente il territorio comunale grazie ad un organico sistema del verde, dove inserire una rete di percorsi ciclabili, potrebbe rappresentare un elemento fondamentale della pianificazione urbanistica della nostra città.

Entrando poi nel mondo dell’utopia, si potrebbe sognare un’ampia area pedonale tra il Teatro Romano, il Ponte Pietra e via Ponte Pietra.  Come? Realizzando un traforo breve tra via Fincato e via Mameli che, in un primo tempo servirebbe alle auto private, sollevando le vie Santa Chiara, Regaste Redentore e Lungadige San Giorgio, oltre che le Torricelle. In un secondo tempo, una volta terminati i lavori per realizzare un serio impianto di trasporto pubblico, di mobilità dolce e di infrastrutture di servizio quali i parcheggi scambiatori, potrebbe ospitare solo una linea dei mezzi di trasporto pubblico a trazione elettrica. Questa soluzione, accompagnata da un sottopasso per le poche automobili dei residenti che transiterebbero davanti al Teatro Romano, permetterebbe la pedonalizzazione di una grande area antistante al monumento romano. Questa soluzione valorizzerebbe ulteriormente un contesto urbano di antiche origini e creerebbe una zona per favorire la socializzazione.

La mobilità secondo Massignan. Il traforo non è la panacea