(di Gianni Schicchi) C’era più di un motivo per assistere al quarto concerto de Il Settembre dell’Accademia e salutare l’ottima formazione orchestrale dei Wiener Symponiker (attenzione a non confonderli con i colleghi Wiener Phliharmoniker) che mancava al Filarmonico dal 1991, quando Il Settembre era ancora in piena gestazione. Ma c’erano pure altri motivi: vedere all’opera la celebrata quarantenne pianista russa Anna Vinnitskaya e il nuovo direttore dei Wiener, il ceco Petr Popelka, da poche settimane nominato pure direttore artistico del complesso e già responsabile dell’Orchestra Sinfonica di Radio Praga.

Anna Vinnitskaya balzò sulle cronache nel giugno 2007, quando vinse a mani basse il primo premio del celebre Queen Elisabeth Music Competition di Bruxelles, imponendosi con il Concerto per pianoforte n. 2 di Prokofiev, seconda donna nella storia del concorso dopo Ekaterina Novitskaya nel 1968, ma la pianista si era già affermata tre anni prima al Concorso Busoni di Bolzano. 

Petr Popelka, nato professionalmente in orchestra, pure appassionato compositore, si è confermato a partire dal 2010 come uno dei direttori più amati e richiesti della sua generazione, dopo aver ricoperto la carica di direttore principale della Norwegian Radio Orchestra di Oslo ed aver guidato diverse formazioni importanti, dalla Rundfunk-Sinfonieorchester di Berlino, alla National Symphony Orchestra danese, Staatskapelle di Dresda, Frankfurt Symphony, Deutsche Radio Philharmonie, Mozarteumorchester di Salisburgo e Orchestra Sinfonica della RAI. 

Il programma della serata al Filarmonico era improntato su una pagina famosissima: il Primo Concerto per pianoforte in si bemolle minore op. 23 di Ciajkovskij e sul poco praticato, ma per questo non meno avvincente, Concerto per orchestra dell’ungherese Bela Bartok. 

Il brano di Ciajkowskij si potrebbe definire addirittura familiare per il pubblico che frequenta le sale da concerto, già dall’Allegro e molto maestoso del primo tempo: il momento più celebre dell’intera partitura, per la sua ampia melodia cantata dagli archi ed accompagnata dai possenti accordi del pianoforte. 

Anna Vinnitskaya, dal fisico affascinante, lo affronta non come un barometro d’agilità manuale e una specie di esercizio sotto le mani, dove Ciajkowskij viene sottoposto al tormentoso dressage di molte interpretazioni. Fin dall’inizio ci pare invece cercare un fitto dialogo con l’orchestra, una piena collaborazione dove non ci sia posto per vuote cascate sonore anche se devotamente accompagnate, ma chiarendo quanto sia fondamentale il bisogno di immedesimarsi anche nell’animo di Ciajkowskij, scoprendo i segreti risvolti della sua immagine sonora.

Un’interpretazione convincente, ben sgranata nell’articolazione e bene fraseggiata, a volte fin troppo esuberante nel cercare l’effetto teatrale, che mostra tuttavia una maturazione avvenuta per gradi, lungo un percorso tracciato con chiarezza, fino dalle origini con quel Concorso Regina Elisabetta di cui abbiamo detto in apertura.

La solista ribadisce nuovamente questi concetti nel seguente Allegro con spirito, dove il pianoforte è direttamente protagonista, dal carattere inizialmente intimo, che si apre con un primo tema ben ritmato ispirato ad una canzone popolare ucraina: il canto dei ciechi; il dialogo tra la solista e l’orchestra finisce per essere molto animato, culminando in tre cadenze pianistiche di grande brillantezza. Sonori e convinti applausi del pubblico al suo indirizzo ripagati da due graditi bis. 

Nella ripresa il direttore Petr Popelka era invece alle prese col Concerto per orchestra di Bartok, pagina che tende a trattare certi strumenti e gruppi di strumenti in maniera solistica o concertante, fortemente concentrato sui fiati. Accanto ad una tecnica compositiva, giunta ormai alla sua massima perfezione, trovano posto nella partitura riferimenti (più espliciti che in pagine precedenti) alla tradizione sinfonica che nutre la formazione bartokiana, quella che reca i nomi di Brahms, Liszt, Richard Strauss, Rimski Korsakov.

La scelta di questo tipo di scrittura nata durante l’esilio statunitense del compositore, discese dal suo desiderio di valorizzare al massimo il virtuosismo delle prime parti dell’orchestra, riprendendo da un lato il taglio barocco del Divertimento per archi del 1939 e dall’altro rimandando a pagine precedenti con lo stesso titolo, di Hindemith, Kodaly e di quelle americane anni Quaranta, di Stravinsky.   

Popelka e l’orchestra ne evidenziano dettagliatamente la complessità e la magniloquenza, specie del secondo tempo detto il Giuoco delle coppie, al cui centro si apre una sezione contrastante, al quale gli ottoni gravi conferiscono il carattere di un corale e nella terza parte dove ritorna il gioco delle coppie aperto dai fagotti opposti ai tromboni con sordine, clarinetti e flauti, arpe e archi.

La compagine dei Wiener Symphoniker si è mostrata strutturalmente bene attrezzata in ogni reparto, nei brillanti cinquanta archi, ma anche nel comparto dei fiati – prime parti di flauti e fagotti, davvero straordinari – fatta segno ai calorosi applausi del pubblico che si sono prolungati in numerose chiamate in proscenio dopo due graditissimi bis. Il valzer viennese non si smentisce mai…