(di Gianni Schicchi) Grande chiusura del 33° Settembre dell’Accademia, domenica sera al Teatro Filarmonico, a coronare un festival impostosi per qualità degli interpreti e dei programmi. L’ultimo appuntamento voleva anche commemorare i duecento anni dalla nascita di Anton Bruckner e per questo l’Orchestre des Champs-Ểlysées – mancava al Settembre dell’Accademia dal 2008 – chiamata al compito, si presentava con la celebre Ottava Sinfonia in do minore del compositore austriaco.
La guidava, come sedici anni fa, il famoso maestro belga Philippe Herrerweghe, navigato direttore, solitamente aduso al repertorio barocco, ma per questo non sdegnoso di affrontare le sinuose e ardite melodie romantiche; e più che mai quelle dell’impianto più vasto e ambizioso che Bruckner abbia mai concepito, l’Ottava Sinfonia composta nel 1885 e più volte revisionata nel corso degli anni 1887-1890.
Una composizione che dura (spesso) ben oltre gli ottanta minuti, con un organico enorme, notevolmente rinforzato nei fiati (otto corni e quattro tube), che lo stesso compositore dichiarò essere: “un annuncio di morte, che si fa sempre più forte, dove alla fine si sente suonare la campana a morto”, in uno spegnersi progressivo della sonorità che genera un’impressionante atmosfera di mesto cordoglio.
Pagina suggestiva, il grande Adagio del terzo tempo, presentato come un diario di solitudine e di confessione dove la timbrica, oscurata dalle tube, intensifica il discorso di riflessi drammatici, donde il suo incedere accidentale, faticato, ma virilmente dolente. L’enorme Finale ambisce poi ad inquadrare il dramma personale dell’artista in una dimensione universale, meno convincente allorché si affida a pittoresche fanfare, anche se non vi manca l’empito fideistico, in una accettazione tuttavia serena e gioiosa delle bellezze della vita e della natura.
La visione di Herreweghe si è mantenuta sempre all’interno di una giustezza esemplare di scelte, soprattutto nella logica dei rapporti fra il metronomo di un episodio e quello dell’episodio successivo. L’enunciazione dell’Allegro moderato già prelude all’autenticità della cifra bruckneriana del direttore, la sua capacità di tendere l’arco melodico con un magnifico legato e di stabilire un rapporto calibratissimo fra la figura principale e i tremoli di sfondo.
Lo stesso ottimo risultato si coglie peraltro nella resa del celebre inizio dell’Adagio del terzo tempo, con un perfetto amalgama fra tube ed archi, mentre nello Scherzo Herreweghe tende a non far sforare gli ottoni e senza perdere di vivacità, ad attenuare la pesantezza rustica della danza come se fosse ascoltata da una certa distanza. Né si riesce a coglierlo in fallo nei grandi crescendo delle code e nel lungo percorso verso il climax dell’Adagio.
La scorrevolezza dei tempi o il rifiuto di ogni eccesso retorico, come di certi manierismi di fraseggi cari alla tradizione, perfino la tendenza a limitare il vibrato degli archi, o l’enunciazione assolutamente castigata dei temi dell’Adagio, denotano un Bruckner sobrio e concentrato, dal taglio modernamente asciutto. Però allo stesso tempo Herreweghe tende a conservare nell’enfasi del fraseggio, nel controllo della dinamica, come nella tensione narrativa, la statura monumentale e visionaria della Sinfonia che, nonostante la contenutezza dell’impostazione generale, conserva l’effetto travolgente degli smisurati e ossessivi crescendo, come la commovente tenerezza di certi estatici ripiegamenti intimistici.
L’esecuzione della Sinfonia è apparsa snella e luminosa, senza perdere lo sbalzo drammatico e l’ampiezza di respiro. Questo è dipeso anche dalle diverse caratteristiche dell’orchestra parigina, che vanta una buona tradizione, più recentemente anche bruckneriana e che al Filarmonico ha confermato sotto ogni aspetto l’alto livello interpretativo.
Herrewghe ha plasmato in questi anni l’orchestra facendola assurgere ad una delle maggiori compagini dell’Europa. Gli archi non avranno il colore dei tedeschi e austriaci di Berlino e Vienna, ma hanno una compattezza, una brunita densità ed una morbidezza meravigliosa; gli ottoni che occupano un ruolo di primo piano nella Sinfonia, si stagliano con una grandiosa potenza di suono.
La complessa narrazione bruckneriana procede, sotto la direzione del direttore belga, con continuità e naturale fluidità e con una evidente attenzione a ricreare le atmosfere suggerite dalla densa orchestrazione. Successo della serata accolta con molto calore dal solito Filarmonico esaurito in platea (qualche vuoto nei palchi) che ha applaudito a lungo i francesi e il suo direttore intento a complimentarsi tra i diversi comparti, con tutti i suoi.