Non si capisce dov’è che abbiamo sbagliato: all’inizio degli Anni Sessanta eravamo il terzo Paese al mondo, dopo URSS e USA, a lanciare satelliti nello spazio ed eravamo leader nell’energia nucleare. Poi è iniziato il “tafazzismo” della stampa woke e ci siamo ritirati in buon ordine in un limbo dove eravamo tutto, tranne che una potenza economica. Preambolo lungo per analizzare l’ultima ricerca del Radar SWG che ha tastato il polso degli italiani sulla space economy.
Un settore dove l’Italia non è seconda a nessuno: quarta realtà industriale in Europa e settima nel mondo, con un ruolo strategico nell’agenzia spaziale europea (ESA) ma soprattutto con un tessuto industriale fatto di centinaia di industrie (al 90% PMI) che danno lavoro a 50mila addetti diretti che diventano 200mila con la filiera e realizzano un fatturato vicino ai 15 miliardi € (oltre 12 di valore aggiunto), poco meno dell’1% del PIL. Di queste imprese l Nordest ne accoglie il 18.2%, il Veneto ben il 5,2%.
Ebbene per gli Italiani la space economy (mille miliardi $ al 2050 di fatturato globale) non ci vedrà nei primi della classe: meglio di noi faranno la Cina ed Elon Musk mentre dopo di noi finiranno la NASA e l’India, prossimo player globale. E nonostante sia italiana ed europea la ricerca per la colonizzazione della Luna negli Anni Trenta di questo secolo, gli Italiani non riconoscono né quanto fatto né quanto speso sinora.
A cosa servirà comunque la space economy? il pensiero degli Italiani, almeno su questo, è abbastanza chiaro e tende a mettere in secondo piano il principale driver attuale della ricerca, ovvero l’utilizzo dello spazio per la difesa, con i grandi investimenti fatti per i sistemi di ricerca e controllo – ad esempio, delle minacce missilistiche o per accecare i sistemi di ricerca e analisi dei dati sul terreno – – che vedono oramai lo sviluppo di Comandi spaziali in quasi tutti i Paesi. Con quali ricadute per l’Italia e le sue imprese? la grafica successiva è chiara in questo: magari non si ricordano dei primi satelliti italiani spediti dal Kenya, ma cosa dobbiamo fare per restare nella competizione questo sì:
Space economy, nuova joint venture per Officina Stellare
Sin qui la ricerca demoscopica. Ma come detto, la space economy è già una realtà molto viva nel nostro Paese e un’opportunità sempre più approcciabile anche per gli investitori. Anche perchè il momento – grazie all’interconnessione spazio-difesa – è molto interessante. E’ il caso di Officina Stellare di Sarcedo (Vicenza) che è attiva nel settore delle ottiche e del loro utilizzo nello spazio che, oltre al quartier generale berico, controlla un sito produttivo negli USA attraverso la OS Corporation, il 55% di Dynamic Optics e il 55% della start-up di UniPadova, ThinkQuantum.
La società quotata a Milano, nel segmento Euronext Growth, ha chiuso in settimana una joint venture con Skyloom Global Corporation per avviare un nuovo sito di produzione in Veneto, Skyloom Eu che seguirà la realizzazione di terminali ottici di volo per applicazioni di intersatellite link terraorbita ed orbita-orbita.
Officina Stellare (il CEO Carlo Spezzapria si è fatto le ossa in Forgital, campione veneto dell’aerospazio passato al Fondo Carlyle per un miliardo €) ha visto il suo fatturato triplicarsi dal 2021 ad oggi raggiungendo i 15 milioni€: In Borsa (65 milioni€ la sua capitalizzazione con un flottante al 22%) dopo il massimo del 23 luglio 2021 a 17.5€/azione si attesta oggi a 10.8€/azione con una crescita del 22% circa nell’ultimo anno.