Rapìan gli amici una favilla al Sole
a illuminar la sotterranea notte,
perché gli occhi dell’uom cercan morendo
il Sole; e tutti l’ultimo sospiro
mandano i petti alla fuggente luce.
Ugo Foscolo
(Di Sebastiano Saglimbeni) Un tema, i defunti, che intese magistralmente la fervida creatività di uno dei nostri grandi poeti, Ugo Foscolo. I defunti, di recente, mi hanno motivato a ricordare e a descrivere un loro luogo, “Il cimitero acattolico” di Roma ovvero “Il cimitero degli artisti e dei poeti”, famoso ed insieme sconosciuto.
Io l’ho visitato. Era una mattina di luglio del 1990. Soggiornavo nella capitale in seguito ad una nomina ministeriale che mi impegnava per una trentina di giorni, in qualità di presidente, in una commissione di maturità all’Istituto tecnico “Gabriele D’Annunzio”.
In questo luogo del cimitero ti prende – forse più che in altri luoghi dei defunti – un sentimento di elevazione ed insieme di bassezza, di nullità, di caducità; e non sembra che tu esista, potente, in nome del censo, dell’agiatezza, dell’odio e dell’invidia, mentre, ancora in piedi, ti aggiri e ti aggiungi a quei sepolcri sparsi nell’area sita nel quartiere romano chiamato Testaccio. Che è il nome del colle adiacente, una piccola orogenesi formatasi lentamente con il depositarsi e con l’accumularsi dei cocci di anfore vinarie e olearie che arrivavano dal porto romano. Un termine, pertanto, Testaccio derivante dal latino “testa”, che vuol dire “anfora”.
Un luogo, “Il cimitero acattolico” o – ancora chiamato diversamente – “Il cimitero inglese”, non esteso rispetto a quello di Père Lachaise in Parigi, dove riposarono, per un po’ di tempo, le ceneri di Vincenzo Bellini, e fra le altre, di illustri, riposano quelle di Piero Gobetti ed Oscar Wilde e dove chissà che cosa non spenderebbero per riposare lì (pure nel Cimitero acattolico), certi potenti che vogliono – e lo possono – splendide sepolture, di gran lunga più splendide se queste fossero tra quelle di gente famosa, per passare, almeno, da morti, tra i famosi.
Si apprende da una piccola guida illustrata che uno statuto del 1921 riguardante il cimitero assicurava l’inumazione a un certo numero di cittadini stranieri di confessione protestante o greco-scismatica. Nel 1953 la dicitura “cittadini di confessione protestante o greco-scismatica” venne sostituita con l’altra “cittadini acattolici”, onde consentire una più estesa interpretazione delle norme statuarie. Oggi nel posto sconsacrato è consentito anche ai cattolici l’inumazione, recita questa guida pubblicata nel 1956 e ristampata nel 1989.
Un grande monumento, “Il cimitero acattolico” (foto: Turismo Roma) che accoglie circa quattromila morti: e sono inglesi e tedeschi i più, ma pure molti americani e scandinavi, russi e greci e di altri paesi. C’è pure qualche cinese. Rilevante il numero degli italiani.
La storia delle sepolture in questo cimitero romano è assai complessa, come pure complesse altre storie che riguardano questo luogo, definito “magra serra” da Pier Paolo Pasolini che, qui capitato, trovò ispirazione per scrivere Le ceneri di Gramsci, un perfetto poemetto che con altri testi poetici costituirà la famosa raccolta dall’omonimo titolo.
A Roma- aveva scritto Pasolini al suo prediletto alunno friulano Tonuti Spagnol – “si vive troppo con il cervello e pochissimo col cuore”. In questo cimitero in Roma non riposa Pier Paolo Pasolini, ma qui, in mezzo ai poeti, agli artisti avrebbero dovuto avere quiete le sue ceneri di poeta civile. Qui pure riposano John Keats, il famoso poeta inglese, morto all’età di 26 anni; Dora Melegari, una poetessa italiana, morta nel 1924, che nessuno ricorda; Percy Bysshe Shelley, altro famoso poeta inglese, assieme al figlioletto di tre anni, William; qui riposano le ceneri di Antonio Labriola, professore di scienze sociali e, tralasciando altri illustri nomi di pittori, architetti, di vari studiosi, nostri e stranieri, qui riposano le ceneri di Antonio Gramsci. Si sarà forse lenita un po’ la disperazione di Pasolini “romano” dinanzi ai sepolcri di Keats, di Shelley, di Melegari e di Gramsci. Quest’ultimo, scrittore quand’era libero e durante le carcerazioni del regime fascista, come sopra accennato, lo motiva alla poesia.
Pasolini non è sepolto nel Cimitero acattolico di Roma
Ed è su Pasolini ( foto: Wikipedia) , complice “Il cimitero acattolico”, che voglio un po’ incentrare il discorso che segue. Pasolini ambienta il poemetto Le ceneri di Gramsci nel cimitero, davanti al cippo disadorno con solo la scritta in latino “Cinera Antonii Gramscii” (1), donde il titolo del testo. Ѐ una giornata di maggio, che non pare tale in quel “buio giardino straniero” emanante un’aria di disfacimento. Pasolini colloquia e medita dinanzi al cippo del martire antifascista Gramsci. Si sentano le sue terzine.
“(…)Non puoi,
lo vedi?, che riposare in questo sito
estraneo, ancora confinato. Noia
patrizia ti è intorno. E, sbiadito,
solo ti giunge qualche colpo d’incudine
dalle officine di Testaccio, sopito
nel vespro: tra misere tettoie, nudi
mucchi di latta, ferrivecchi, dove
cantando vizioso un garzone già chiude
la sua giornata, mentre intorno spiove….
Lì tu stai, bandito e con dura eleganza
non cattolica, elencato tra estranei
morti: Le ceneri di Gramsci …Tra speranza
e vecchia sfiducia, ti ascolto, capitato
per caso in questa magra serra, innanzi
alla tua tomba, al tuo spirito restato
quaggiù tra questi liberi. (O è qualcosa
di diverso, forse, di più estasiato
e anche di più umile, ebbra simbiosi
d’adolescente di sesso con morte(…)
E, da questo paese in cui non ebbe posa
la tua tensione, sento quale torto
– qui nella quiete delle tombe – e insieme
quale ragione – nell’iniqua sorte
nostra – tu avessi stilando le supreme
pagine nei giorni del tuo assassinio…”.
Si leggono struggenti in questi versi le delusioni del poeta, il luogo e l’uomo politico che fu condannato per la sua fede a venti anni di carcere dalla dittatura fascista. Dove egli è cenere e ricordo con un sepolcro arriva il sordo suono di una incudine battuta da braccia proletarie. E pare questo sordo suono come un contrasto alla “noia patrizia”. Non mi pare che esistano altre testimonianze poetiche, come questa del Pasolini che ci fa conoscere, in qualche modo, questo luogo, avendolo fatto entrare nel suo testo. Non c’è pure, d’altro canto, pagina – tante e tante se ne sono scritte da storici e da politici per dire di Gramsci e per rinfrescare la sua memoria – più alta di questa pasoliniana, ispirata dalla visita, che risale agli inizi del 1950, al Cimitero inglese. Una poesia civile dai tratti lirici e dalla forma tradizionale per quel recupero di metri nelle terzine rievocanti quelle pascoliane. Ricordiamo che Pasolini aveva discusso la sua tesi di laurea sulla poetica del Pascoli.
E, più avanti, si evince una sorta di presentazione: è la presentazione di se stesso, del poeta, fatta a quelle ceneri:
“Ed ecco qui me stesso…povero, vestito
dei panni che i poveri adocchiano in vetrine
dal rozzo splendore, e che ha smarrito
la sporcizia delle più sperdute strade,
delle panche dei tram, da cui straniato
è il mio giorno: mentre sempre più rade
ho di queste vacanze, nel tormento
di mantenermi in vita; e se mi accade
di amare il mondo non è che per violento
e ingenuo amore sensuale
così come, confuso adolescente, un tempo
l’odiai, se in esso mi feriva il male
borghese di me borghese…”.
Questo fa scrivere al poeta il sepolcro di Gramsci (Foto:Wikipedia) nel “Cimitero acattolico”; qui l’ espressione coglie la sua vita grama ed insieme la sua agiatezza di borghese, offeso dal male borghese, l’ambiguità, insomma, di cui non fu immune Pasolini.
Pure si completa la scrittura pasoliniana con uno sguardo al cippo, non tanto distante da quello di Gramsci eretto al poeta Shelley, prototipo del romanticismo inglese. Ora, a parte il canto pasoliniano al luogo dei morti, nostri e stranieri, con Gramsci protagonista, va detto che la storia di questo camposanto si sperde attorno all’anno 1738. Proprio in quest’anno venne sepolto uno studente venticinquenne, di Oxford, di nome Langton. Furono gli scavi che permisero di conoscere questo primo seppellimento accordato ad uno straniero. Fu difatti rinvenuta nel 1928 la sua spoglia con una targa di piombo che recava l’iscrizione che tuttora è riportata sulla sua pietra sepolcrale.
Si renda qualche onore con visite a questo cimitero che accoglie poeti, artisti, altra gente, pure nobile. Che sono ora solo sepolcri o – per dirla con Ugo Foscolo – “oblïate sepolture”.
(1)Esatto: Cineres Antonii Gramscis. Si raccontava che alcuni Parlamentari comunisti verso gli inizi degli anni Cinquanta si fossero recati a visitare il sepolcro di Gramsci. Tra questi, l’umanista Concetto Marchesi, che dinanzi all’iscrizione esclamò: “Sceccu!” (Asino), a colui che aveva scritto Cinera e non Cineres e Gramscii e non Gramscis.
Non si accorse lo stesso Pasolini della dicitura latina errata.
Questo testo, rimaneggiato lievemente, fa parte dell’opera TRAPASSSATO PRESENTE/ Scrittura d’obbligo, edita nel 2008, in tiratura limitata, da Matteo Steri, per i tipi “Archivio Concetto Marchesi”, Cardano al Campo (Varese).