(di Gianni Schicchi) Il 22 maggio 1873 moriva a Milano Alessandro Manzoni, il massimo poeta e romanziere italiano del momento. Il Comune meneghino decise di dedicargli immediatamente una Messa da Requiem in memoria, commissionandola al musicista di casa: Giuseppe Verdi. Per l’anno seguente, il Requiem era già pronto e il 22 maggio 1874 lo stesso compositore, alla guida di uno smisurato complesso corale ed orchestrale, poteva dirigerlo nella chiesa di San Marco, iscrivendolo così fra i suoi tanti successi operistici.

Una nuova esecuzione pubblica del Requiem si prestava benissimo anche nella nostra città per commemorare i defunti e così la basilica di San Zeno è riuscita ad inserirsi in un piccolo tour organizzato in terra trentina dall’Associazione Euritmus (Orchestra delle Alpi) congiuntamente con la Corale Monteverdi di Cles e il Coro Laboratorio Musicale di Ravina, per proporlo nella serata del 2 novembre.

La Messa da Requiem (San Zeno strapieno con standing ovation al termine) è andata così felicemente in porto, nella direzione del maestro Maurizio Postai, alla guida della giovane Orchestra delle Alpi e con solisti: il soprano Claudia Urru, il mezzosoprano Serena Romanelli, il tenore Alfonso Zambuto ed il basso Alessandro Abis, riscuotendo un successo esaltante. Maurizio Postai ha saputo proporre una partitura di mirabile equilibrio tra il ribollente tumulto passionale, scatenato dal temuto distacco dalla vita e un raccoglimento religioso che assume i tratti della rassegnazione più che quello della serena accettazione. 

requiem

L’orchestra ha risposto a queste sollecitazioni con un suono pieno e lucente (eccellenti trombe e tromboni), in grado di abbracciare un arco dinamico amplissimo, sempre pulito anche nella ben nota violenza fonica di alcuni passaggi che riserva il Requiem. Una menzione merita la spalla Barbara Broz (a cui si deve l’iniziativa trentina, insegnando al Conservatorio veronese) vero e proprio leader e co- direttore.

Al termine i prolungati e incessanti applausi del pubblico hanno reso tangibile la consapevolezza di aver assistito ad una prestazione maiuscola, alla quale hanno contribuito in maniera non meno rilevante i due cori Monteverdi di Cles e Laboratorio Musicale di Ravina, coesi nel sussurro più lieve come nel fortissimo più devastante, che hanno dato peso e colore ad ogni sillaba, con intonazione corretta e dizione sferzante, pronti poi ad abbandonarsi ad una cantabilità intensa eppure sobria. 

Eterogeneo e senza divi il quartetto dei solisti: salendo dall’inferno al paradiso del pentagramma, erano il basso Alessandro Abis, roccioso nella pasta, ma sfumato nel porgere, il tenore Alfonso Zambuto, dallo squillo penetrante pieno di diafana dolcezza nell’Offertorio (molto bello poi il suo Ingemisco). Il mezzosoprano Serena Romanelli, poco incline a predicare sottigliezze e soprattutto il soprano Claudia Urru, fresca di premi in concorsi internazionali, nonché capace di conciliare il necessario registro di petto con un vibrante luminoso fremito adolescenziale. Benvenuto quest’ultimo a fendere nel “Libera me Domine” la limitrofa caligine liturgica. Alla fine ha vinto un modo di fare musica serio, di qualità, immediatamente riconoscibile.