(di Giorgio Massignan) Sono trascorsi circa due anni e mezzo da quando nella nostra città, dopo 3 amministrazioni consecutive di centrodestra, ha vinto una coalizione di centrosinistra guidata dall’attuale sindaco Damiano Tommasi.
Nei vari punti espressi nel programma elettorale era evidente l’intenzione di una modifica nel metodo e nei contenuti rispetto alle amministrazioni precedenti e questo aveva spinto parecchi veronesi a sperare in un reale cambiamento. In effetti, in alcuni settori la trasformazione c’è stata ma, nel contesto che personalmente considero il più importante per l’attività di un’amministrazione, quello della pianificazione territoriale, che definisce l’idea di città e i meccanismi che la determinano, sembra che stiano ripercorrendo i sistemi e le scelte del passato.
Innanzitutto il metodo. Nella stesura del P.A.T. (Piano di Assetto del Territorio) e del P.I. (Piano degli Interventi), nonostante gli incontri d’ascolto, dove l’amministrazione esponeva le proprie scelte e riceveva le osservazioni dei cittadini, nella realtà le destinazioni d’uso erano definite a monte e, nonostante le critiche, approvate quasi come venivano presentate al pubblico dall’attuale maggioranza e, nel caso della Marangona, dall’intero Consiglio comunale ad eccezione di un voto contrario. La cosiddetta urbanistica partecipata, dove le destinazioni d’uso e l’assetto territoriale dovevano essere decisi attraverso il contributo attivo degli esponenti della cosiddetta società civile, è rimasta nel libro dei sogni.
Sui contenuti. Si sperava che il primo atto dell’assessorato all’urbanistica fosse quello di intervenire con la Regione per modificare le scelte del PAQE, un piano regionale che vincola le pianificazioni comunali, definito in un periodo in cui le condizioni economiche e sociali erano molto diverse dalle attuali. Invece, con una ingiustificata fretta, si è approvata la cementificazione di una grande zona agricola a Verona sud, la Marangona, che il PAQE definisce zona per l’innovazione, quindi edificabile, scordando l’impegno di non consumare altro suolo verde.
La giustificazione è stata la necessità di sviluppare il ruolo di Verona e del Quadrante Europa quale centro intermodale e per la logistica.
E’ indubbio che la nostra città, nei secoli, sia stata caratterizzata dalla sua posizione geografica quale snodo per i traffici merci provenienti o diretti al nord Europa, attraverso il Brennero, e quelli da e per la Francia, la Spagna e per i Paesi dell’est Europa. Per la nostra economia è quindi essenziale che l’interporto veronese rimanga il più importante d’Italia e il secondo in Europa dopo quello di Brema. Ma, con la trasformazione della ZAI e le conseguenti tante aree industriali dismesse, la loro rigenerazione per rispondere alle esigenze logistiche, avrebbe potuto evitare l’impermeabilizzazione di circa un milione e mezzo di mq agricoli.
Molte delle tante aree produttive in ZAI sono destinate alla logistica su richiesta di imprenditori privati e il loro utilizzo non è pianificato in funzione dei piani di sviluppo legati al Quadrante Europa. Dopo queste scelte, risulta doveroso porsi alcune domande: -perché la pianificazione pubblica non ha previsto un collegamento di quelle aree private, una volta ristrutturate, con le attività del Quadrante Europa, ovviamente garantendo ai proprietari i loro legittimi guadagni? -Perché si sta forzando in questo modo la cementificazione della Marangona? -Si è valutato il volume di merci di tutti i poli logistici esistenti e in fase di realizzazione nel comune di Verona e nei territori contermini? Un buon pianificatore che intende tutelare il suolo ancora verde e sostenere l’economia, prima di decidere la cementificazione della Marangona avrebbe dovuto rispondere a queste domande.
È di poco tempo fa la notizia della realizzazione di una palestra pubblica a Veronetta per studenti e residenti universitari a Passalacqua, che dovrebbe sorgere nell’area verde adiacente al grande parco pubblico della Provianda di Santa Marta. Indubbiamente un’ottima idea, sia per il quartiere che per l’università. Ma perché costruire un nuovo grande edificio e non recuperare un immobile dismesso in quell’area, evitando un ennesimo consumo di suolo? Dopo gli edifici residenziali e commerciali innalzati in deroga durante l’amministrazione Tosi, è proprio necessario cementificare altro spazio verde? Con questi interventi si stanno trasformando le caratteristiche storiche e culturali di quella zona a ridosso della cinta muraria, oltre a mutare l’assetto paesaggistico.
Come nel caso della Marangona, anche per la zona di Passalacqua si stanno portando avanti, con risibili cambiamenti, i vecchi progetti del centrodestra. Gli stessi metodi e contenuti riguardano il Centro Storico, dove il Piano Folin rimane, come la spada di Damocle, sulla testa delle sorti di quella zona che sta perdendo le sue caratteristiche storiche, sociali ed economiche.
In conclusione, è lecito chiedersi come sia possibile che mentre sta per essere portato in Consiglio il PAT e il PI, si stiano valutando altri progetti che modificheranno l’assetto del territorio, tra cui quello dell’“Onda surf” alla Bertacchina con le conseguenti ricadute sulla Spianà.
È evidente che dovrebbe esistere una chiara differenza tra l’idea di città del centrodestra rispetto a quella del centrosinistra. Entrambe le coalizioni politiche hanno i loro obiettivi e i loro metodi per raggiungerli ma, se alla fine dei conti risultano simili, c’è qualche cosa che non funziona ed è forse questo uno dei motivi per cui l’astensionismo, con quasi il 40%, risulta il primo partito in Italia e a Verona.