Prosegue il dibattito de L’Adige sul futuro della destra italiana ed europea all’indomani della vittoria di Donald Trump. Dopo Maurizio Gasparri e Flavio Tosi pubblichiamo l’intervento del Capo-delegazione della Lega al Parlamento Europeo, Paolo Borchia
(di Paolo Borchia) L’affermazione di Donald Trump negli Stati Uniti è molto più di un successo elettorale, ottenuto peraltro a dispetto di ogni previsione e nonostante avesse contro la maggior parte dei media mainstream e pressoché tutti i cosiddetti esperti negli USA e anche in Europa, che davano per vincente la Harris. Oggi, invece, ci spiegano perché abbia vinto Trump. Contro tutti e contro tutto, lo davano per finito e invece tornerà alla Casa Bianca, più forte di prima. È molto più di un’affermazione elettorale perché è la vittoria della concretezza sull’ideologia, delle risposte di buon senso contro la deriva woke e politicamente corretta; è una visione del mondo che punta a risolvere i problemi della gente comune contro la narrazione di una sinistra che da tempo ha smesso di ascoltare il popolo per dare retta alle élite.
Il risultato è destinato a provocare mutamenti importanti ovviamente negli Stati Uniti, ma non solo, anche da questo lato dell’Atlantico e in tutto il mondo. Alcuni effetti, diretti o indiretti, già li stiamo vedendo in questi giorni, sebbene Trump debba ancora insediarsi. A cominciare dall’apertura al dialogo da parte della presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, e dei leader europei, che dopo aver gridato alla fine del mondo in caso di vittoria repubblicana, oggi sembrano pronti a lavorare con chi fino a qualche giorno fa veniva dipinto alla stregua del demonio. Evidentemente, non è la fine del mondo.
In chiave geopolitica, è chiaro che, dopo anni di debolezza targati Biden-Harris, culminati con la fuga disordinata dall’Afghanistan e l’assenza dagli scenari strategici, il ritorno di una leadership americana forte è di buon auspicio nel contrasto al dilagare del fondamentalismo islamico e del terrorismo. Ma anche alle politiche espansioniste sul piano commerciale e di zone di influenza da parte di Pechino, che fino a oggi non hanno trovato un contraltare.
Mentre sullo scacchiere internazionale ci aspettiamo un deciso scatto in avanti per porre fine alla guerra in Ucraina, così che la diplomazia possa sostituirsi alle armi, è chiaro che anche le dinamiche europee subiranno, piaccia o meno, una netta trasformazione.
Le forze che hanno mal governato per lungo tempo a Bruxelles, tappando la bocca alle opposizioni ed emarginando chiunque la pensasse diversamente dal pensiero unico europeo, oggi per forza di cose sono chiamate a fare i conti con la realtà: la realtà della nazione più potente del mondo governata da Donald Trump, con le sue politiche agli antipodi rispetto a quanto predicato da Bruxelles negli ultimi cinque anni, e parallelamente la realtà della forte crescita della famiglia politica della Lega, di Viktor Orbán e di Marine Le Pen, i Patrioti per l’Europa, terzo gruppo più grande del Parlamento europeo.
Interlocutori privilegiati della nuova amministrazione USA, legati da un duraturo e consolidato rapporto con Trump e il mondo conservatore, con i quali condividiamo vedute, principi e sfide su numerosi temi, dalla difesa dei confini e la lotta all’immigrazione clandestina, passando per il contrasto alle ideologie woke e per un approccio più realistico e concreto alla tutela dell’ambiente, senza eccessi ideologici che mettano in ginocchio il comparto produttivo causando la perdita di migliaia di posti di lavoro.
Paolo Borchia: noi “patrioti” interlocutori privilegiati
Quanto accaduto in America deve essere di lezione a Bruxelles. Tentare in ogni modo di delegittimare e zittire chi la pensa diversamente, come da anni sta provando a fare la maggioranza di sinistra del Parlamento europeo, non è solo un insulto a milioni di elettori, ma anche una tattica sbagliata che si ritorce contro, come dimostrato dal successo di Trump, il quale fu persino estromesso dai social network nel tentativo di farlo sparire.
E dall’altra parte, insegna che il centrodestra vince quando combatte per difendere le proprie idee, i propri valori, le proprie battaglie storiche. Senza snaturarsi, senza tentare di essere ciò che non è, per piacere alla sinistra o all’establishment. La coerenza premia sempre. Tanto in America quanto in Europa.