(di Paolo Danieli) Occidente. La sua crisi sta manifestando attraverso le profonde divisioni all’interno della società americana; lo scontro attorno alla presidenza degli Stati Uniti culminato con i tentativi di assassinare Trump; l’immagine di Biden; lo scontro con la Russia; il conflitto latente con gli alleati europei per l’energia; il crollo dell’immagine di Israele; la sconfitta in Afghanistan; la perdita di controllo del vicino Oriente e dell’Africa.
Recentemente Marcello Veneziani, una delle menti più lucide della cultura politica italiana, ha recensito con una sintesi perfetta il saggio di Emmanuel Todd La sconfitta dell’Occidente, un’analisi perfetta della situazione storica che noi europei stiamo vivendo e che tutti dovremmo leggere.
Ma che cos’è l’Occidente?
La parola Occidente indica uno dei punti cardinali. E’ dove cade il sole. Dove tramonta. Nel corso dei secoli ha assunto anche un significato culturale, indicando, come recita la Treccani “l’insieme dei popoli, delle civiltà, delle culture dei paesi occidentali, aventi caratteri e confini vari secondo le diverse epoche storiche in cui si affermò la coscienza di una contrapposizione fra Occidente e Oriente”.
Ma il termine è entrato anche nell’uso comune nel suo significato politico perché tra il 1945 e il 1989 è stato usato per indicare gli Stati che stavano ad Ovest della cortina di ferro, che era il confine del mondo comunista.
Lo schieramento occidentale faceva parte della Nato, l’alleanza militare guidata dagli Usa. Mentre quello orientale era inquadrato nel Patto di Varsavia, assoggettato all’Urss che, per chi non c’era, significa Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche.
Nel 1989 cade il muro di Berlino. La Germania che stava ad Ovest della cortina di ferro si riunifica con quella che stava ad Est, simbolo del superamento della dicotomia politica occidente/oriente, est/ovest, comunismo/anticomunismo.
Con il crollo del comunismo molte nazioni che avevano fatto parte del blocco sovietico si omologano al resto dell’Europa. L’Urss si dissolve. Al suo posto tornano a esistere la Russia e altri stati indipendenti.
Era finita un’epoca, quella della spartizione di Yalta. E ne era iniziata un’altra.
L’Occidente nella sua accezione politica
Ciò nonostante, ancora oggi si continua a parlare di Occidente nella sua accezione politica. Perché? Che senso ha continuare a parlare di Occidente se non c’è più un Oriente? Ce lo dobbiamo chiedere. Ma soprattutto ci dobbiamo dare una risposta per non cadere nei tranelli della propaganda che allontanano sempre dalla realtà.
Oggi con ‘Occidente’ si indicano i paesi che sono sotto la sfera d’influenza degli Stati Uniti. Perfino l’Australia, la Nuova Zelanda e addirittura il Giappone, la Corea del Sud, che geograficamente fanno parte dell’estremo Oriente, vengono annoverati fra i paesi ‘occidentali’. A dimostrazione che in politica il termine significa il complesso ditutti quegli stati che hanno come minimo comune denominatore l’amicizia con gli Usa. Anzi, qualcosa di più dell’amicizia, visto che ne sono soggetti alle decisioni in politica estera perfino quando vanno contro i loro interessi. Di esempi ce ne sono molti, ma si confida nella memoria del lettore.
Se ha ancora un senso parlare di ‘Occidente’, oltre che come punto cardinale, come categoria culturale ed antropologica, perché tenerlo in vita politicamente quand’è venuta meno la ragione storica della sua esistenza?
La risposta è solo una: per creare una suggestione che giustifichi l’egemonia anglo-americana e l’esistenza della Nato, il suo strumento militare che, non esistendo più il Patto di Varsavia, non ha più ragione di esistere.
Esempio illuminante di questa egemonia è l’inglese, imposto come lingua internazionale. Come il latino ai tempi dell’impero Romano. Ma c’è anche, come in tutti gli imperialismi, l’egemonia culturale che impone idee, usi e costumi. Basti pensare all’ideologia Gender, alla woke culture, all’omologazione globalizzante. E poi ci sono i fatti.
L’Occidente dopo il 1989 ha allargato la sua sfera d’influenza a Polonia, Estonia, Lituania, Lettonia, Finlandia, Cechia, Slovacchia, Ungheria, Slovenia, Croazia, Montenegro, Bosnia-Erzegovina e Bulgaria. Ha combattuto la guerra del Golfo nel 1990, la guerra nei Balcani nel 1992, la guerra in Iraq nel 1993, la guerra dell’Afghanistan nel 2001, la guerra in Libia nel 2011 e indirettamente la guerra in Ucraina in corso.
Al di là di ogni valutazione etica, tutto ciò quali vantaggi ci ha portato?
A noi italiani nessuno. Solo spese. Non abbiamo 15 miliardi da mettere nella sanità per portare la spesa a livello europeo, ma programmiamo di comprare carri armati per 24 miliardi. Paghiamo 48 milioni l’anno di pensioni agli ucraini, abbiamo svuotato i nostri arsenali per mandare armi a Zelensky assieme a chissà quanti altri soldi che nessuno ci restituirà mai. Lo stesso vale per le altre nazioni europee.
Basti pensare ai danni all’economia per la sospensione dell’importazione del gas russo. Tutto questo per i paesi europei, a parte il Regno Unito che è cosa a sé, con il suo Commonwealth e con il legame speciale con gli Stati Uniti
Perché allora continuare a credere alla suggestione dell’Occidente?
L’America è un grande paese, ma con interessi divergenti dai nostri. E giustamente gli americani fanno i loro: ‘America First’, dice Trump.
Perché allora noi non facciamo i nostri? Perché abbiamo perso una guerra 80 anni fa? Quando nessuno di noi era ancora nato? La motivazione non regge. Anche perché non vale solo per noi italiani, ma per l’Europa intera, compresi quelli che la guerra in teoria l’hanno vinta.
Comprendere che l’Occidente, nella sua accezione politica, non esiste più è il primo passo per iniziare a ragionare e a muoversi in un mondo che è diventato multipolare.
La crisi americana, mai così vicina al conflitto interno, è il punto di svolta e segnala fine di quell’Occidente e il fallimento di quel sistema che, non avendo capito che il mondo è cambiato, hanno continuato a fare una politica avulsa dalla mutata realtà e che cercano di fermare la storia. Quella storia di cui, all’indomani della caduta del muro di Berlino un intellettuale del mainstream, Francis Fukujama ne aveva dichiarato la fine nell’illusione di un mondo unipolare sotto l’egida della bandiera a stelle e strisce. Ma la storia non lo sapeva. E continua a fare sul suo corso.