Il vero nodo dell’affollamento e delle lunghe attese ai Pronto Soccorso è l’organizzazione del Ssn sul territorio. Le persone che hanno bisogno di cure non trovano risposte né dai Medici di base né dalla Guardia medica. E allora vanno al Pronto Soccorso, anche per problemi che potrebbero essere risolti a casa o in un semplice ambulatorio dotato di un minimo di personale e di strumentazione.
Ad aggravare la situazione, anche se nessuno osa dirlo per paura di essere accusato di razzismo, c’è una grande quantità di stranieri. Questi in genere non conoscono i meccanismi e le regole della sanità italiana, specie se sono irregolari e quindi non hanno il Medico di medicina generale. Oppure, se sono regolari, non l’hanno mai scelto. Così molti immigrati appena hanno una linea di febbre o un’unghia incarnita, si fiondano al Pronto Soccorso aumentando la massa di codici verdi e bianchi, cioè degli accessi impropri.
Case di Comunità per alleggerire i Pronto Soccorso
Il ministro della Salute, Orazio Schillaci, questo lo sa bene. E lo ha detto in un’intervista a Il Messaggero. “Siamo assolutamente in linea con gli obiettivi del Pnrr che fissa a giugno 2026 la piena funzionalità delle Case di Comunità e degli Ospedali di comunità – ha dichiarato- che daranno un forte contributo per alleggerire il carico sugli ospedali. Ricordo che abbiamo anche già stanziato le risorse per assumere il personale necessario al loro funzionamento: 250 milioni per il 2025 e 350 nel 2026”.
Dovrebbero infatti essere le Case di Comunità, dove dovrebbero essere concentrati gruppi di medici di famiglia con una segretaria comune e degli infermieri, a svolgere da filtro per gli accessi ai Pronto Soccorso. Oltre, necessariamente, a far funzionare i Medici di Medicina Generale, che oggi offrono un servizio inadeguato, come ammette lo stesso ministro.
Una figura sulla quale l’utente del Ssn non può far conto se sta male, burocratizzata e sostanzialmente ‘lontana’ dal proprio assistito. La soluzione, anche secondo il ministro è “nel lavoro in team, all’interno delle case della comunità e nella necessità di ripensare questa professione che deve essere al passo con i tempi e con i cambiamenti che in questi anni hanno investito la medicina e il servizio sanitario nazionale, a partire dalla digitalizzazione. I medici di famiglia sono pochi e hanno migliaia di assistiti”.