(di Giovanni Perez) Caro Filippo Tommaso Marinetti, so che sei molto impegnato, la tua “Conquista delle stelle” prosegue, in un mondo dove finisti nel dicembre del 1944, che a noi mortali, non è dato vedere, ma devo dirti alcune cose, per me, per noi, gli «Indomabili» di oggi, molto importanti.
Da quando te ne sei andato, 80 anni fa, le cose sono sempre di più precipitate verso il baratro, dove spadroneggiano cretineria e cattivo gusto. Intorno a noi volteggiano, tronfi e volgari, quelli che tu definivi sinteticamente: “passatisti”; sono ovunque, sono nemici delle eccellenze, di qualsiasi tentativo di pensare in grande, di chiunque osi ipotizzare un futuro per l’umanità all’altezza del suo valore. Siamo andati oltre lo stesso passatismo, perché oggi è diventato di moda l’essere schiavi dell’effimero, di ciò che è barbarie, la nostalgia del nulla.
Ricordi il manifesto di Giacomo Balla e Fortunato Depero? Si intitolava Ricostruzione futurista dell’universo, e tu sai quanto ci sia bisogno di ricostruire dalle fondamenta questo mondo ormai ridotto ad un cumulo di rovine.
Caro Marinetti, lo so che è difficile, ma c’è urgentemente bisogno che tu faccia ritorno su questa terra, lanciando ancora una volta la parola d’ordine: “Marciare non marcire”. Non avrai al tuo fianco Umberto Boccioni, né Carrà, né Russolo, né Sant’Elia, né i Volontari Ciclisti Automobilisti, con i quali difendesti, nel 1915, le posizioni di Dosso Casina, sul Monte Altissimo, là dove vivesti l’eco della battaglia di Adrianopoli: «Zang Tumb Tumb», «Zang, Tumb, Tuuumb!».
Dovrai accontentarti di noi, a cui quanto meno non mancherà l’ardire degli apprendisti rivoluzionari, anche se non sempre provvisti della necessaria «immaginazione intuitiva e divinatrice».
Amavi qualificarti come Sansepolcrista, ossia fascista della prima ora e fosti addirittura accademico d’Italia, proprio tu, che Accademie e Musei volevi incendiare; ma in quell’epoca infuocata si trattava di schierarsi da una parte o dall’altra, di prendere posizione, anche rinnegando talvolta quelle “parole in libertà” che avevano animato la tua avanguardia.
Il tuo fascismo, sempre turbolento, dopo essere stato, se ricordo bene, socialista e repubblicano, era in realtà marinettismo e perciò, dai più, ti è stato perdonato e di te si parla come se non ci fosse mai stato quel tuo indossare orgogliosamente la camicia nera, anche nell’ultimo giorno della tua vita, fin dentro la bara – anch’essa orribile simulacro passatista – dopo la tua adesione alla Repubblica Sociale Italiana e aver scritto l’ultimo, disperato e coraggioso poema, intitolato, Quarto d’ora di poesia della X Mas. Lo scrivesti in riva al lago di Como, proprio nel tuo ultimo giorno di vita, sul quaderno di tua figlia Vittoria.
La parola «eterno» fu l’ultima da te scritta, alla fine di quel poema. Futurismo eterno, appunto.
Marinetti e il fascismo
Due anni prima, quando avevi 65 anni, nonostante la tua contrarietà all’alleanza con la Germania e alle leggi razziali, ancora una volta indomabile e ottimista, ti schierasti e partisti volontario per la Russia. A salutarti a Verona c’era tutta la tua famiglia, Benedetta, Ala, Vittoria, Luce. Ma il tuo destino andava compiendosi e facesti in tempo ad accostarti alla fede religiosa, dettando a Benedetta L’aeropoema di Gesù. Ma quelle vicende appartengono ad un tempo passato, la cui eredità solo le future generazioni comprenderanno. Oggi, ti dicevo, devi ritornare, perché c’è bisogno di una tua nuova scossa, della tua potente immaginazione, della tua audacia, della tua volontà incendiaria e così di tentare ciò che altri non avrebbero il coraggio o la sana follia di tentare: la nostra impossibile rinascita, come ebbe a dire Ezra Pound.
Questo fu e continua ad essere il Futurismo: una sfida ai timori interiori di affrontare le incognite che ci aspettano, i tempi che saranno, le insidie che accompagnano le novità; di accettare «Polemos», quale cifra dell’esistenza, evitando con ciò la palude innaturale della «vita comoda». Noi, lontani dalla tentazione del passatismo, sempre in agguato, che abbiamo però imparato a non confondere il passato con la Tradizione, gli eredi del tuo «Romanticismo d’alluminio», siamo però più consapevoli, che non tutto il passato va gettato via e riconosciamo che gli inventori delle grandezze del tempo andato, furono anch’essi futuristi, «avant la lettre».
Simultaneità, declamazione dinamica e sinottica, distruzione della sintassi, immaginazione senza fili, parole in libertà, intransigenza patriottica, religione-morale della velocità, attivismo suscitatore di entusiasmi, interventismo in ogni dove, movimento, lotta, che cos’altro furono se non formule contingenti della medesima aspirazione di edificare il futuro, quella «Città che sale» che immaginarono Boccioni, Sant’Elia e tutti gli altri futuristi?
Essere futuristi, perciò, significa ancora guardare al futuro, certo con il dovuto entusiasmo, ma mai facendosi travolgere da esso, dalla modernolatria, che è in sé stessa una contraddizione. Oggi sappiamo che la velocità, le macchine, la tecnica, nascondono delle insidie e bisogna capire per bene in che senso la guerra è la «sola igiene del mondo», come scrivesti nel Manifesto. Tu che hai amato Dante, declamando a memoria la Divina Commedia, che gli stolti non comprendevano in quelle celebri serate futuriste, che sempre si concludevano con lanci di ortaggi e scazzottate, come accadde anche a Verona, nel Teatro Ristori, quando furono tutti inghiottiti con il cedimento del palcoscenico di legno.
Caro e indimenticabile Filippo Tommaso Marinetti, ritorno alle mie faccende, ora ti lascio proseguire senza disturbarti oltre, la tua Conquête des Étoiles, che iniziasti nel 1902, ma che mai potrà arrestarsi e finire, sarebbe roba da passatisti! E questo non potrei certo perdonartelo.
L’Associazione Culturale 107 CentSept Arte&Territorioe il Centro Studi Verona Futurista, alla Libreria Minotauro, via Cappello, 35 Verona, mercoledì 18 dicembre 2024, alle ore 18,30, ricorderanno Filippo Tommaso Marinetti a 80 anni dalla sua scomparsa, con lettura di: Futurismo eterno. Lettera a Filippo Tommaso Marinetti.