A 121 anni dalla sua fondazione l’Hellas Verona non è più di proprietà italiana. Le trattative con il fondo texano, di Austin, Presidio Investors, si sono concluse ieri con la cessione della società di Maurizio Setti per 40 milioni.

Erano già 12 anni che la principale società di calcio della nostra provincia non era più veronese, dato che Setti era modenese. Adesso è stato compiuto un altro passo nello svincolare la società dal territorio, con il quale rimane legata solo dai tifosi, dai colori, dal simbolo, dallo stadio in cui gioca e dalla storia. Da ieri il Verona è americano. Così come sono di proprietà estera altre importanti società di calcio.

hellas americano

L’Hellas non era più veronese da 12 anni. Perché?

Segno dei tempi, si dirà. Conseguenza della globalizzazione. Un processo, dicono, ineluttabile. Conseguenza del fatto che a Verona e provincia a nessuno dei grandi imprenditori veronesi è balenata l’idea di investire una parte anche minima delle sue ricchezze per mantenere l’Hellas in mani scaligere. Questione di sensibilità. 

Disinteresse per il calcio? Legittimo. Ma disinteresse anche per un fenomeno che coinvolge vasti strati della popolazione e, piaccia o no, ha anche dei riflessi sociali e culturali. Che, se gestito con intelligenza, potrebbe avere anche delle ricadute economiche positive. Ma gli imprenditori veronesi non sono interessati. 

E così l’Hellas Verona è andato, prima nelle mani di un modenese, e adesso in quelle di un gruppo americano. 

Magari potrebbe essere una fortuna dal punto di vista calcistico. Un nuovo management, una sana iniezione di milioni, l’acquisto di qualche buon giocatore, la costruzione del nuovo stadio sono senz’altro aspetti positivi della cessione ai texani. Quindi come sostenitori dei gialloblu non possiamo che essere contenti.

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Ma come veronesi non possiamo ignorare che Verona continua a subire la politica del carciofo e che l’Hellas è un’altra foglia che ci viene sfilata, dopo i diversi asset economici che abbiamo perso negli ultimi anni. E questo non è un bene, e deve suonare come un campanello d’allarme nel valutare la classe dirigente veronese nel suo complesso, imprenditoriale e politico.