( di Attilio Zorzi) Da sempre quando studiamo la storia ci viene insegnato che ci sono stati dei grandi personaggi o leader, che ne hanno influenzato e cambiato la traiettoria, e per questo sono ricordati nei libri di scuola. Gli esempi sono davvero tanti e, senza dilungarci troppo, basti pensare ai più famosi: da Giulio Cesare e Ottaviano Augusto in epoca classica, fino a Carlo Magno nel medioevo, per arrivare poi a Napoleone e George Washington durante le rivoluzioni dell’età moderna, e ai famosi e, quasi nostri contemporanei Mussolini, Hitler, Churchill, Roosevelt e Stalin, durante la 2ª guerra mondiale.
Non esistono leader senza il consenso popolare
Tuttavia, quello che non ci viene insegnato è il fatto che sono i popoli e i cittadini a creare i loro leader, i quali sono il prodotto del loro tempo e non viceversa, sebbene essi, avendo la capacità di comprendere le volontà e le necessità delle loro collettività, riescano a metterle in pratica e a farsi seguire. Infatti, nessun sistema di governo, sia esso democratico o autocratico, può sopravvivere senza il consenso popolare e quando quest’ultimo viene a mancare, il sistema stesso crolla e, anche in questo caso gli esempi delle rivoluzioni sono molteplici: da quella inglese di fine Seicento, a quella americana del 1776, arrivando poi a quella francese del 1789 e a quella russa per ben due volte, prima nel 1917 e poi nel 1989.
I sistemi di governo e i rapporti di forza geopolitici cambiano con il passare del tempo e con l’evoluzione della tecnica, ma la difficoltà di essere leader rimane, e anzi, ai giorni nostri, è persino aumentata, poiché l’individualismo e il materialismo rendono le collettività più isolate e spaccate al loro interno, sia in Occidente che nel resto del mondo avanzato.
Negli Usa, la più grande potenza mondiale, negli ultimi anni, si sono alternati due presidenti ottantenni, e se Trump sicuramente ha carisma, Biden non aveva nemmeno quello, a riprova della complessità di guidare una collettività così profondamente divisa e spaccata al suo interno, come quella americana dei nostri giorni.
In Francia e Austria non si riesce nemmeno a trovare una maggioranza di governo e Macron è un presidente della minoranza, mentre in Germania Scholz è caduto e sarà ricordato come il cancelliere meno longevo della storia tedesca.
In Cina, Russia ed India, i presidenti hanno tutti più di settant’anni, segno inequivocabile dell’invecchiamento delle società più mature, e prova inconfutabile delle criticità di trovare delle figure di spicco capaci di guidare le collettività più complesse.
Situazione diversa, invece, si sta prospettando in Africa, il continente più giovane e in crescita demografica del mondo, dove i leader rivoluzionari del Sahel sono molto più giovani, alcuni hanno persino meno di 40 anni, a riprova ulteriore di come, quando i giovani sono molti, pretendano e prendano il potere, anche con la forza, cosa molto più difficile nelle società anziane come le nostre.
E l’Italia non è esente da questa difficoltà, perché Giorgia Meloni è una leader apprezzata, nonostante le politiche governative non siano sempre condivise dalla maggioranza degli italiani e talvolta nemmeno dai suoi elettori, ma è senza dubbio la figura più di spicco nel vuoto che la circonda, con la grande incognita, però, che non si riesca a creare una classe dirigente capace di tenere l’interesse nazionale e la sovranità come bussola per il prossimo futuro.
Scendendo nel particolare del Veneto e di Veronavediamo che l’assenza di leadership e di ricambio generazionale è una questione impellente. Zaia difficilmente farà un 3° mandato (4° per lui) e al momento non c’è un sostituto all’altezza, poiché occupandosi bene dell’amministrare, non si è pensato di costruire una figura pronta a prenderne il posto al momento opportuno, che nel frattempo nel 2025 è inesorabilmente arrivato, con la scadenza elettorale delle regionali.
Verona paga la stessa sorte della Regione, con una guida debole e un’assenza totale di leadership in città, che sta facendo perdere rilevanza e importanza all’intera provincia, ormai scivolata, da molti anni ai margini del potere regionale e nazionale. Qui si voterà nel 2027, per le prossime comunali; ma al di là del termine delle elezioni, sia a Verona, che in Veneto, che più in generale in Italia è giunta l’ora, adesso, nel 2025, non dopo, di lavorare dal basso, come cittadini e come collettività per creare delle figure che sappiano rappresentare gli interessi particolari e nazionali nelle sedi opportune, puntando sulla competenza, sulla concretezza, sulla professionalità e sulla libertà, lasciando da parte personalismi e arrivismi.
Solo così si potrà creare il terreno fertile per far fiorire i leader e la classe dirigente che mancano, ma ci servono, per essere protagonisti a ogni livello politico. È l’auspicio per questo 2025.