(di Gianni Schicchi) La sesta edizione di “Mozart e Verona” 2025 decolla con un concerto di chiara marca veronese, sia nella rara Sinfonia d’apertura di Girolamo Salieri, sia nell’esecuzione del Rosso Baroque Ensemble, giovane complesso emergente di casa. Onore anche all’Accademia Filarmonica che l’ha ospitato nella sempre accogliente Sala Maffeiana e al suo bibliotecario Michele Magnabosco che ne ha messo a disposizione la partitura giacente in stampa nella biblioteca.
Il merito di rispolverare la rarissima Sinfonia per clarinetto di Girolamo Salieri, nipote del più noto Antonio e anche lui di Legnago, va a Pietro Battistoni, guida e mente del Rosso Baroque Ensemble che l’ha trascritta in due tempi per clarinetto ed archi.
Il lavoro saleriano rivela una spiccata qualità idiomatica: il clarinetto appare particolarmente congeniale al compositore (ne era un noto solista) e adatto al suo linguaggio musicale. Lo strumento vi viene valorizzato nelle sue precipue caratteristiche, di agilità e delicatezza di tono, mai soverchiato dall’orchestra e chiamato a esibirsi in piacevoli ornamentazioni. La leggerezza, l’eleganza e la chiarezza di tessitura sono fra le qualità del pezzo.
L’animata serata della Maffeiana (esaurita) comprendeva anche due deliziosi gioielli cameristici, ovviamente di Mozart: il Quintetto KV 581 ancora per clarinetto e il Quartetto con oboe KV 370. Una composizione, quest’ultima, nata dall’idea di mettere a punto un lavoro cameristico con lo strumento, giunta a Mozart quando era impegnato a Monaco per l’Idomeneo, inverno 1780, e incontrò il celebre strumentista Philipp Tobias Gerber, già conosciuto a Mannheim. Un Quartetto di grande concisione ed essenzialità che si conclude con un vivacissimo Rondò che assume la fisonomia di un finale da concerto con l’oboe in primo piano, dove il solista Federico Forla si è fatto apprezzare per un suono abbastanza rotondo ed omogeneo, così come il rapporto con l’orchestra è risultato assai equilibrato anche dal punto di vista fonico-timbrico.
Il Quintetto K 581 per clarinetto e archi mostra invece come Mozart abbia molto amato lo strumento solista, insieme alla viola, proprio per il timbro morbido e sfumato che lo fa assurgere al rango di protagonista per le manifestazioni più delicate e introspettive, nella ricerca espressiva perseguita in numerose opere, comprese alcune Sinfonie e memorabili Concerti per pianoforte e orchestra.
Il lavoro si distingue per la sua ampiezza (quattro tempi, anziché tre) e per la diffusa dialogicità che pervade da cima a fondo la partitura, dando vita ad una purissima gemma nell’ambito dell’intera produzione cameristica, senza per questo rinunciare all’esplorazione di tutte le possibilità timbriche ed espressive dello strumento a fiato. E dove poi gli archi non svolgano un semplice ruolo di accompagnamento, già dimostrato dall’esposizione dell’Allegro iniziale, al cui tema principale da loro esposto si aggiunge il clarinetto dopo sei battute attraverso lo slancio di un ampio arpeggio ascendente. Ma quanto colpisce è il Larghetto in re nella forma di una romanza tripartita (come non sentire l’incipit dal celebre “Là ci darem” la mano del Don Giovanni), aperta dal dolcissimo canto notturno del clarinetto accompagnato dal morbido mormorio degli archi con sordino.
Anche l’Allegretto finale con variazioni è un grande pezzo, il cui tema di partenza è quanto di più semplice e spontaneo si possa immaginare. Il clarinetto, nella prima variazione, offre un variegato motivo ornamentale al di sopra del tema affidato ai violini e poi a viola e violoncello. Merito all’eccellente Elia Celegato l’avercelo proposto secondo un approccio anti-virtuosistico, privilegiando soprattutto la ricerca della sua omogeneità. I due solisti sono stati coadiuvati dall’ottima prestazione del piccolo ensemble di colleghi formanti il Rosso Baroque, guidati dal primo violino Pietro Battistoni, con Lorenzo Cugole come secondo, Lorenzo Boninsegna alla viola e Cristina Vidoni al violoncello. L’interpretazione proposta si è rivelata alquanto interessante, soprattutto per quanto riguarda l’adesione stilistica e la componente timbrica, globalmente luminosa ed omogenea e ad una condotta agogica spesso incalzante dal punto di vista ritmico.
Il Rosso Baroque Ensemble (è stato fondato a l’Aja tre anni fa durante un master) ha interpretato i due lavori con grande maestria, portando alla luce l’eccellenza e la complessità mozartiana. L’esecuzione catturata dal vivo è stata precisa, ma anche carica di un senso di spontaneità che rispecchia l’essenza stessa delle opere. Frenetico il bis proposto al termine con la Sinfonia dalle Nozze di Figaro salutata dai ripetuti applausi della Maffeiana. Una platea a cui hanno partecipato anche noti “addetti ai lavori”: fra essi il celebre direttore trevigiano Andrea Marcon che negli applausi finali ha invitato i vicini ad alzarsi in piedi per omaggiare ancora più vistosamente gli interpreti: un segno inequivocabile che ha attestato la qualità dell’esecuzione.