(di Gianni Schicchi) Avevamo ascoltato le tre ultime Sinfonie di Mozart al Filarmonico in occasione del Settembre dell’Accademia del 2016, dirette dalla vibrante bacchetta di Daniel Harding, alla guida della Mahler Chamber Orchestra. E ne rimanemmo affascinati per i colori inediti, sottolineati dalle peculiari scelte di tempo e di fraseggio del direttore. Ora, grazie ancora alla lungimirante iniziativa dell’Accademia Filarmonica, ci è stata offerta la stessa occasione, nell’ambito della sesta edizione di “Mozart a Verona”, con l’esecuzione di Les Musiciens du Louvre diretti da Marc Minkowski.

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E così una certa emozione è tornata a ripetersi, non fosse altro per gli stupendi equilibri fonici espressi, i raffinati intrecci tra legni, corni e archi, con trombe e timpani in primo piano specie nelle numero 39 e 41.

Le ultime tre Sinfonie di Mozart sono ancora avvolte nel mistero. Quando il compositore le scrisse attraversava uno dei momenti più difficili della sua esistenza, come testimoniano le pressanti richieste di denaro all’amico Pucberg. Non si sa chi le commissionò, scritte in rapida successione nell’estate del 1788, anche se l’ipotesi più plausibile è che l’autore intendesse farle eseguire all’inaugurazione del Casinò nella Spiegelgasse di Vienna, pure se non si è mai conosciuto l’esito del progetto.

Secondo l’intuizione di qualche celebre direttore, Mozart con questi tre lavori avrebbe voluto dar vita ad una sorta di grande oratorio strumentale. Lo indicherebbero la robusta struttura di Ouverture della n° 39 nel suo primo movimento, l’assenza di un Adagio introduttivo nella n° 40, mancante della sonorità di trombe e timpani e il Finale particolarmente elaborato della n° 41. Forse pure il decorso tonale – mi bemolle maggiore, sol minore e infine do maggiore – potrebbe avallare l’ipotesi.

Nelle scelte di fondo il Mozart di Minkowski ha rispecchiato gli orientamenti correnti applicando caratteristiche delle esecuzioni di tipo ricostruttivo con strumenti d’epoca, oggi di grande moda. Tempi dunque molto rapidi negli Allegri, ma senza precipitazioni dimostrative, piuttosto scorrevoli anche in quegli lenti, con una certa parsimonia di vibrato e presenza in primo piano di fiati e timpani. I Minuetti sono percorsi a passo spedito, mentre i Trii sprovvisti in partitura di variazioni di tempo, vengono sempre sensibilmente rallentati.

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La celeberrima n° 40 ha sofferto fin qui di troppe esecuzioni, con il rischio concreto di creare un effetto di saturazione negli ascoltatori. Una certa ricollocazione che Minkowski ha inteso proporre della Sinfonia ha contribuito a ringiovanire la ricezione della partitura. E in questo contesto un ruolo determinante ci pare lo abbiano compiuto Les Musiciens du Louvre, orchestra fra le più qualificate in Europa e davvero eccellente nel virtuosismo e nel nitore dell’articolazione, fattasi apprezzare specialmente dalle prime battute della Jupiter per l’energia dell’accento e la fluidità del fraseggio, l’ampiezza del ventaglio dinamico e l’attenzione riservata all’ordito contrappuntistico.

Un’orchestra poi disposta in maniera abbastanza insolita, con due contrabbassi isolati ai lati, uno a sinistra ed uno destra, addossati rispettivamente ai due corni e alle due trombe naturali e con i due primi violoncelli posti davanti al podio a far da traino a tutto il comparto degli archi. 

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Qua e là Minkowski ha fatto sentire spunti interessanti nell’accentazione umoristica di alcuni passaggi, come nella messa a fuoco di dettagli e nello spolvero brillantissimo che anima i movimenti delle 40 e 41, mostrando che il suo Mozart è abbastanza originale rispetto ad altre esecuzioni della analoga impostazione, ascoltate negli ultimi tempi. Ma al di là di tutto questo, la sua direzione non è passata inosservata soprattutto per l’estrema cura riservata all’equilibrio dell’insieme: un’ulteriore dimostrazione di quanto insondabile sia la profondità del testamento sinfonico di Mozart. Come bis, una deliziosa ouverture di Rameau. Serata molto applaudita da un pubblico (numerosi i giovani) accorso in buon numero al Filarmonico nonostante l’inclemenza del freddo.