(di Gianluca Ruffino) Se in occasione della sfida di fine marzo tra Virtus Verona e Pro Patria doveste per caso avere l’impressione di veder doppio, state tranquilli. Vedete benissimo. Piuttosto preparatevi ad assistere alla sfida in famiglia tra i gemelli Dino e Amer Mehic, fratelli italo-bosniaci classe 2003 di grande talento impossibili da distinguere per connotati e caratteristiche in campo.
Destino comune, entrambi centrocampisti, nello stesso girone di Serie C. L’unica differenza? La maglia. Il primo veste la 5 rossoblu, il secondo la 6 dei varesini.
Se Amer, complice il rendimento di tutta la Pro Patria, sta un po’ faticando ad esprimere le proprie potenzialità, Dino invece a 21 anni si è preso il centrocampo della Virtus. Dopo una stagione di maturazione vissuta l’anno passato, Mehic sta disputando un’annata da protagonista, condita da tre goal e tre assist, che gli ha permesso di attirare su di sé l’interesse di alcuni club di Serie B.
Il centrocampista dei veronesi (ottimo imitatore di Zlatan Ibrahimovic, ndr) non vuole però montarsi la testa. Conosciamo insieme uno dei diamanti più luminosi della società scaligera.
Alla scoperta di Dino Mehic
Dino 17 partite da titolare su 22 giornate. Raddoppiato il minutaggio rispetto alla scorsa stagione. Sei diventato una pedina fondamentale nello scacchiere della Virtus. Ti senti tra gli uomini chiave di questa squadra?
Parla il campo. L’anno scorso, al mio primo anno tra i professionisti, ho giocato poco, ma ovviamente c’erano delle gerarchie. Io ho lavorato tanto e provato ad apprendere dai giocatori più esperti. Quest’anno invece sto vivendo una grande annata a livello personale e penso di star ripagando la fiducia del mister.
Stai vivendo una stagione molto positiva anche in fase realizzativa, con tre goal e tre assist all’attivo. Ti senti più goleador o uomo assist?
Ad essere sincero, per caratteristiche, mi sento più goleador. L’assist è un gesto tecnico per il quale devi essere bravo nella scelta. Io sento più mie le capacità di inserimento e nella finalizzazione.
Mister Fresco ti ha adattato in vari ruoli a centrocampo in base alle necessità. Quale senti più tuo?
Il mio ruolo è la mezzala. Sono un calciatore box to box, che macina chilometri in campo. Da mediano sono meno libero di inserirmi, mentre non penso di avere le qualità tecniche ideali per fare il trequartista.
L’anno scorso, a questo punto del campionato, i punti erano 32, cinque in più rispetto a questa stagione. Come valuteresti il vostro campionato? Quanta distanza c’è dalle squadre in zona playoff?
Non molto lontani. Ci stiamo rendendo conto di essere davvero un’ottima squadra, fatta di giocatori giovani di talento e compagni esperti che ci danno una grande mano. Gigi stesso ha ammesso che questa è probabilmente una delle rose più tecniche che ha mai allenato. Stiamo prendendo consapevolezza e crescendo in alcuni aspetti fondamentali, come quello della gestione dei momenti difficili della partita. Di questo passo possiamo andare lontano.
Quanto pensi sia importante per un giovane crescere in un ambiente con meno pressioni quale quello della Virtus?
Molto. Piazze come questa ti permettono di giocare libero e prendere consapevolezza del tuo valore. Impari a conoscere bene la categoria e capisci di poterci stare dentro.
La Virtus sta crescendo talenti pronti a sbocciare. Siete tanti quelli che sembrano destinati ad altri palcoscenici. Per te che hai vissuto anche l’ambiente Atalanta, rivedi un po’ la stessa scuola di pensiero?
Rivedo tanti aspetti comuni, sia nella crescita dei giocatori, sia nell’impostazione delle idee di gioco. Il mister ha dimostrato di puntare tanto sui giovani e di non fare alcuna distinzione anagrafica nelle scelte: gioca chi merita.
A Bergamo insistono tanto sulla costruzione dal basso e sul gioco uno contro uno. Quando li abbiamo affrontati infatti ci siamo adattati al loro gioco, giocandocela a viso aperto. Inoltre anche lì, a livello giovanile, c’è un ambiente senza troppe pressioni. Quindi direi che ci sono tante similitudini tra le due società.
Si parla già di un interessamento da parte di squadre di Serie B. Come vivi l’idea di fare il salto di categoria già dalla prossima stagione?
Per ora sono solo voci, ma sicuramente fa sempre piacere leggerle. Se non fosse per mia mamma, che apprende queste notizie sempre prima di me, non l’avrei saputo. Ho letto anche dell’interessamento del Brescia, che è la squadra della mia città. Tutto ciò mi gratifica, ma preferisco non ascoltarle, perché non voglio montarmi la testa ma rimanere concentrato sul presente.
Nel calcio di oggi rappresenti quel tipo centrocampista perfetto, che mixa quantità, qualità, corsa, inserimento e fiuto per il goal. Quale tra queste caratteristiche senti più tua? Cosa pensi ti manchi ancora per compiere la definitiva maturazione?
Penso che la mia dote principale sia la completezza. Ho tanta resistenza, so fare tante cose in campo ma probabilmente non spicco in nessuna caratteristica in particolare. Mi definisco un calciatore “spigoloso”. In cosa dovrei migliorare? Direi l’esplosività. Devo anche lavorare sulle marcature, ma quella è una cosa che si acquisisce con il tempo e l’esperienza.
Hai mai pensato di giocare all’estero? Se sì, quale campionato ti affascina di più?
Mi sono sempre chiesto come sarebbe giocare in Premier League. È il sogno di tutti. È un campionato in cui si gioca ad un ritmo altissimo, ed essendo io un giocatore di quantità mi piacerebbe tanto calcare quel palcoscenico.
Tuo fratello Amer sta facendo un percorso un po’ più lento, essendo per lui questo il primo anno tra i professionisti. Qual è il rapporto tra i fratelli Mehic e come vivete la competizione in famiglia?
In realtà lui era arrivato tre anni fa a Pescara ed era stato aggregato alla prima squadra. Poi ha avuto un infortunio al flessore e non è riuscito ad esordire. Ma mi rinfaccia sempre di essere stato il primo tra noi ad arrivare tra i professionisti (ride).
Tra noi siamo legatissimi. Ci stimoliamo tanto l’uno con l’altro. Dopo la mia partita contro il Novara mi ha fatto i complimenti e il giorno dopo, contro la FeralpiSalò, ha fatto una grande prestazione. Quando sono stato io a complimentarmi, mi ha detto di aver giocato in quel modo perché il giorno prima, vedendomi, lo avevo ispirato e spronato a dare del suo meglio. È un rapporto bellissimo.
In passato ci hai raccontato che tuo fratello è soprannominato la piovra. E tu? Hai un soprannome?
A lui hanno dato questo soprannome quando giocavamo nell’Atalanta Under18, a me invece chiamavano il drago. Questi nomignoli sono rimasti e, ogni volta che ci scambiamo dei messaggi, usiamo sempre queste emoji.
Sei nato e cresciuto in Italia, ma hai la doppia cittadinanza per via dei tuoi genitori, che sono bosniaci. Parlando di Nazionale, accetteresti una chiamata della Bosnia?
Ad essere sincero credo di si. Sono sempre stato in Italia e parlo l’italiano anche meglio del bosniaco. Ma per questioni familiari mi sento molto bosniaco, anche se non l’ho vissuta pienamente. Poi onestamente essere convocato dalla nazionale bosniaca è sicuramente più semplice. Per me sarebbe comunque un grande piacere rappresentare la Bosnia”.
foto ph.nicolaguerra/Virtus Verona