(di Gianni Schicchi) I Concerti domenicali di Musei in Musica 2025 si spostano dalla sede abituale di Palazzo Maffei per trasferirsi in Sala Maffeiana del Filarmonico e aderire così anche al percorso della rassegna “Mozart a Verona”. Lo fanno grazie al contributo della Fondazione Arena che mette a disposizione la propria formazione di fiati per un concerto che ha coinvolto grandi pagine di Salieri e Mozart.
Tutte le attenzioni della mattinata in Maffeiana erano concentrate sulla celebre Serenata op. 10 in si bemolle maggiore “Gran Partita” K 361, quasi una vera sinfonia composta di ben sette tempi. L’imponenza e le dimensioni stesse del lavoro giustificano la loro commissione, scritte per una festa di nozze tenuta a casa della baronessa Martha Elisabeth von Waldstätten, nota mecenate di Mozart.
Anche se l’organico costituito da dodici strumenti a fiato ed un contrabbasso supera l’ambito della pura musica da camera, la Serenata merita comunque di figurare in questo ambito per la ricchezza e la varietà delle combinazioni strumentali, tali dar vita ad autentiche oasi cameristiche, a momenti di singolare magia e morbidezza timbrica, evidenziando la maestria raggiunta da Mozart nel trattamento dei fiati.
Di concezione prettamente sinfonica risulta già il Largo introduttivo, uno dei più ampi, tra quelli realizzati da Mozart prima della Sinfonia Linz KV 425 e tale da far risaltare, fin dalla battute iniziali, la peculiarità timbrica dell’intera partitura, grazie agli impasti creati dall’accostamento dei clarinetti e dei corni di bassetto, degli oboi e dei fagotti, in un contesto globale scandito dai solenni ritmi puntati e dalle sincopi.
L’agguerrita formazione areniana si è fatta ammirare specie nel terzo tempo, l’Adagio in mi bemolle (formalmente tripartito) che costituisce sicuramente uno dei vertici espressivi dell’intera produzione strumentale mozartiana, grazie all’invenzione melodica di straordinaria purezza, affidata soprattutto al nostalgico dialogo tra oboe e clarinetto (con un fervore “quale non si era mai udito in una serenata” come sottolineava l’Albert), al di sopra di un inedito accompagnamento ostinato, interamente basato su una cellula ritmica esposta da oboe, clarinetto e corno di bassetto.
Grande affiatamento e stupendi intrecci strumentali sono stati la sigla che ha contraddistinto la splendida esecuzione dell’intero organico areniano, oggi vero punto di riferimento della compagine più allargata agli archi. Il pubblico ha salutato con vera partecipazione l’esecuzione che ha compreso in apertura anche la chiara pagina di Salieri, “Armonia per un tempio della notte”. Fra i “veterani” dei fiati che hanno trascinato (si fa per dire) i più giovani, sugli scudi il clarinetto di Giampiero Sobrino, il corno di Andrea Leasi, il corno di bassetto di Lorenzo Paini.
Accanto a loro la giovane brillante oboista Francesca Rodomonti, unica donna del concerto col collega Fabrizio Baldon, l’altro corno di bassetto Bruno Matteucci, l’altro clarinetto Maurizio Tripletti, i due fagotti di Lanfranco Martinelli e Domenico Faccin e i tre corni restati, Oreste Campedelli, Domenico Guglielmello, Mattia Battistini, col contrabbasso di Valerio Silvetti. Ai calorosi applausi del pubblico concesso come bis un tempo della Serenata.