(p.d.) Non se ne parla. Come se fosse una cosa normale. Ma normale non è. Gianni Alemanno, uno dei leader storici della destra italiana, già parlamentare, ministro del governo Berlusconi e sindaco di Roma è carcerato in una cella di Rebibbia. E lì dovrebbe stare per 1 anno e 10 mesi. Condannato per “traffico d’influenze”. Un reato per modo di dire, una specie di raccomandazione che avrebbe fatto quand’era sindaco di Roma. 

Stava scontando la pena ai “servizi sociali”. Lo hanno arrestato la sera di Capodanno perché non aveva rispettato gli orari, che gli imponevano di stare a casa alla sera, mentre lui, per quella passione politica che ne ha caratterizzato la vita fin da ragazzo, ha sgarrato e più di qualche volta si è assentato per fare delle riunioni del suo movimento, Indipendenza. 

Una violazione delle regole, certo, che comporta la perdita del beneficio dell’affidamento ai servizi sociali. Ma sbatterlo in galera come un qualunque delinquente è decisamente esagerato. Ci sono in giro pericolosi criminali, violentatori, stalker, stupratori, borseggiatori di ogni genere che dopo essere stati arrestati vengono liberati dai magistrati. 

Alemanno a Rebibbia, ma non è un pericoloso criminale

Alemanno non è un criminale. E tantomeno violento, non c’è la possibilità che reiteri il reato per il quale è stato condannato per il semplice fatto che sindaco di Roma non è più, e non c’è il pericolo di fuga.E allora perché sbatterlo in galera?

E’ una decisione che lascia molto perplessi e che puzza di scelta politica perché Alemanno ha assunto posizioni scomode, si è schierato contro la guerra in Ucraina per la pace fina dal primo momento; ha criticato l’appoggio a Zerlensky dell’Italia; ha denunciato la mancanza di sovranità del nostro paese e la sua dipendenza dalla Nato e dall’Unione Europea. Tutte posizioni sgradite all’establishment. E allora viene un dubbio: che gliela vogliano far pagare?