(di Gianni Schicchi) La Wally di Alfredo Catalani, secondo titolo operistico stagionale della Fondazione Arena, è un titolo poco praticato dai teatri italiani e per trovarne traccia nel nostro Filarmonico bisogna risalire all’inverno 1920. L’edizione proposta domenica 16 febbraio (sarà in scena fino a domenica 23), può quindi considerarsi per Verona, una prima in tempi moderni, pur trattandosi di un allestimento congegnato sette/otto anni fa, nato da una coproduzione tra i teatri di Piacenza, Modena, Reggio Emilia e Lucca, città natale dell’autore.
Ể un caso strano, quello di La Wally, di cui tutti conoscono la celebre aria, “Ebben? ne andrò lontana”, spesso inserita nei programmi dei concerti e nelle incisioni discografiche, ma l’opera col tempo è caduta nel più assurdo degli oblii. Catalani iniziò la stesura della sua ultima produzione nel 1889 (morirà di tisi nel ’93), tratta da un racconto di Wilhelmine von Hillern, su suggerimento di Arrigo Boito unitamente al librettista Luigi Illica.
Il 20 gennaio 1892, La Wally andò in scena al Teatro alla Scala con la direzione di Edoardo Mascheroni, protagonista Hariclea Darclée (futura prima Tosca) ed un esito molto buono, con tredici repliche. In seguito fu allestita in altre città italiane ed estere e quando arrivò ad Amburgo, fu diretta perfino da Gustav Mahler, che la definì la migliore opera italiana che aveva affrontato.
Per l’edizione al Teatro Regio di Torino del 1894, il compositore modificò il finale rendendolo ancora più drammatico, di cui però purtroppo non poté assistere all’ennesimo successo. L’opera è stata sempre considerata come la migliore nel catalogo di Catalani, sia per la bellezza della musica, sia per la coerente tenuta drammaturgica. L’autore, che frequentava la corrente degli “scapigliati”, fu considerato un wagneriano e pare avesse pure dichiarato di non amare Verdi: fu ricambiato, anche se in seguito Verdi ebbe da ricredersi.
A tutti gli effetti Catalani fu un compositore anomalo, ben lontano dalle correnti veriste e più a suo agio con i temi fantastici delle opere nordiche. Un musicista che usò il cosiddetto leitmotiv: la melodia della celebre romanza, filo conduttore di tutta l’opera, dove non mancano pagine strumentali di grande fattura, come i preludi, un terzo atto con un colpo di teatro ed un quarto drammatico e di grande ispirazione.
In quest’opera il paesaggio è la neve e il Tirolo, che appare come condizione musicale essenziale. Personaggi e avvenimenti sono circoscritti in questo ambiente che determina il colore drammatico del lavoro teatrale. Agli esordi non mancarono forti riserve della critica, ma l’opera ebbe ampia diffusione arrivando anche in America, grazie ad Arturo Toscanini, amico e sincero ammiratore di Catalani, che la diresse più volte. Un titolo poi a lui tanto caro da indurlo persino a chiamare Wally la sua seconda figlia.
Apprezzabile l’iniziativa di Fondazione Arena di inserirla nella programmazione 2025, che ha reso così possibile ascoltare una pagina molto interessante nell’evoluzione musicale di fine Ottocento e che guarda spesso ben oltre. Sarebbe pure auspicabile una riscoperta ulteriore di Catalani attraverso le altre sue opere.
L’allestimento che ha esordito al Filarmonico, con scene di Fabio Cherstich, è abbastanza funzionale nel creare un ambiente innevato, un ghiacciaio permanente che segna tutta la drammaticità della vicenda, nella quale l’ambiente ha una rilevante impronta. Bisogna ammettere che è molto difficile realizzare una scena montana immersa nella neve come richiede la trama: lo scenografo c’è riuscito con una mano felice, non eccessivamente coreografica, ideando anche delle scale seminascoste che funzionano per le entrate e le uscite dei personaggi, puntando soprattutto sulla freddezza dell’ambiente e la crudeltà della vicenda.
Riuscitissima la regia di Nicola Berloffa che traccia una lettura tutta focalizzata sulla “femme fatal in noir”, con la sua crudeltà dei sentimenti e che trova soluzione solo nel suicidio finale. Gli altri personaggi ruotano intorno a lei, ben tracciati nelle loro peculiarità e sfaccettature, senza mai ricorrere a linguaggi stereotipati, ma realizzando con sobrietà, accenti aspri e molto teatrali. Belli i costumi di Valeria Donata Bettella, che non scivolano sul tipico costume tirolese e le indovinate luci di Valerio Tiberi.
Il maestro Antonio Pirolli compie una direzione di grande spessore e spiccata musicalità, trovando un perfetto equilibrio tra i diversi stili insiti nella partitura, realizzata con enfasi e colori davvero ammirevoli, mettendo in luce quanto di meglio in essa contenuta.
Nel complesso molto valido il cast dove Eunhee Maggio (già al Filarmonico nella Bohème del 2019) è una protagonista convincente sia sotto l’aspetto drammatico, sia quello lirico. Possiede una voce talentuosa che ha impostato l’interpretazione più sul versante lirico (operazione apprezzabile) utilizzando buona tecnica e grande sfoggio di fraseggio.
Non ha fatto rimpiangere la “rinunciataria” José Siri, che ha disdettato inopinabilmente il ruolo, mettendo in difficoltà la Fondazione Arena, costretta a cercare in tutta fretta un sostituto. Non meno valido il Vincenzo Gellner di Youngjun Park, che in un ruolo così rude trova accenti teatrali e vocali di forte intensità (notevole il suo “Mi fai pietà”): probabilmente fra le migliori prove da noi ascoltate.
Più contenuto Carlo Ventre, che affronta Giuseppe Hagenbach – una parte molto ostica, tutta improntata sul versante vocale medio alto – con impeto e grande volontà. Ancora validissimo il suo squillo culminato bellamente nel duro duetto finale “A te ne vengo come ad un santo altar”.
Eleonora Bellocci si ritaglia un successo personale nel ruolo di Walter per spiccata baldanza e puntuale esecuzione. Molto bravo anche Gabriele Sagona, uno Stromminger dal canto levigato e scolpito, al quale si aggiungono la professionale Marianna Mappa, Afra, e il perfetto Pedone di Schnals cantato da Romano Dal Zovo. Grande prova del coro areniano preparato come sempre dalla sapiente guida di Roberto Gabbiani. Il teatro Filarmonico era abbastanza gremito per questa “rarità” e al termine ha tributato un meritato e autentico successo a tutta la compagnia.