(di Gianni Schicchi) I Virtuosi Italiani, per il loro quinto impegno stagionale sono tornati nello spazio di San Pietro in Monastero, motivandolo come “Concerto per la pace”, nella Giornata mondiale della giustizia sociale istituita dalle Nazioni unite nel 2007. Una nobile intenzione resa attuabile poi per la disponibilità di un noto solista, il violinista tedesco Ulf Schneider che si è unito a loro per affrontare due noti scogli del sinfonismo bachiano: il Concerto in re minore BWV 1052 e il Concerto per due violini, sempre nella tonalità di re minore, BWV 1043.

Curiosa l’adozione del primo (scritto in verità per clavicembalo), dall’architettura musicale superba, a grandi campate, animata da una tensione continua, da un impeto appassionato e drammatico: il più imponente fra quelli per clavicembalo di Bach, e forse uno degli ultimi della serie. La versione originale, da cui l’opera deriva, è da ricercarsi probabilmente per violino (non pervenutoci), o forse per uno strumento ancora più grave.

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Il virtuosismo acceso e altre particolarità dello stile, come l’impiego di passaggi d’insieme all’unisono, fanno dubitare spesso della paternità bachiana e fanno pensare a qualche autore italiano (Vivaldi?). In realtà l’opera è invece perfettamente nello spirito bachiano, non solo nei suoi caratteri generali, ma anche in vari particolari di stile, come la struttura “a cantilena” su un basso quasi ostinato dell’Adagio centrale, che ricorda quello degli altri concerti per violino.   

Schneider ha tratteggiato con grande effetto l’apertura del concerto, col suo ampio disegno all’unisono dell’orchestra, quasi teatrale, nella sua enfasi peroratoria. Un disegno ripetuto, anche a frammenti, che costituisce l’impalcatura entro cui si aprono poi vasti squarci solistici del violino, che sottopongono il materiale tematico a sollecitazioni continue, in sempre nuove figurazioni. 

Nella sua esecuzione il cinquantasettenne violinista tedesco tesaurizza la sua ultradecennale esperienza interpretativa, adducendo peraltro a scusante delle trascrizioni, la prassi, già invalsa in Bach e nella sua epoca, di trascrivere i pezzi in altre tonalità a seconda degli strumenti cui erano destinate, al fine di dare loro maggiore e più lunga vita. 

Di lui si sono apprezzati la bellezza del suono, il nitore timbrico, la sicura intonazione, la squisita musicalità, senza ridurre i tempi esterni a una mera dimostrazione di atletismo violinistico e gli Adagi centrali, a esercizi di stile bachiano generico: quanto basta per non scontentare i sostenitori della prassi esecutiva “filologica” da una parte e dall’altra da non rinunciare ad un po’ di espressione post romantica.

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L’interprete intransigente che conoscevamo attraverso qualche incisione di anni fa, sembra aver lasciato il posto ad un musicista ora molto più fantasioso, non solo nel fraseggio, ma anche nelle dinamiche. 

Nel Concerto per due violini BWV 1043, si è poi unita la partecipazione di Alberto Martini che è riuscito a portare una qualità più vocale al fraseggio dell’esecuzione, per poi venire travolto dall’effetto “trattorino” imposto da Schneider nell’ultimo movimento, dall’inesauribile energia. 

La serata – aperta da I Virtuosi con alcune Sinfonie e Corali bachiani – è stata quindi completata con due noti brani dell’estone Arwo Pärt: “Da pacem Dominem” e “Fratres” che si sono bene integrati nella motivazione della serata. La prima è una composizione corale sulla preghiera latina per la pace, Da pacem Domine, composta nel 2004 a quattro voci. La seconda è in tre parti, eseguita in tantissime combinazioni strumentali (in questa occasione per violino e archi): una serie “ipnotizzante” di variazioni su un tema di sei battute, che combina l’attività frenetica e la calma sublime, dove l’istante e l’eternità si confrontano dentro di noi incessantemente.     

Con questo particolare genere Pärt ha dimostrato come sia possibile produrre opere valide nonostante l’utilizzo di un’armonia estremamente semplice e la riduzione ai minimi termini del materiale compositivo. Il suo modo di comporre è infatti generalmente costruito solamente su due voci: una funge da accompagnamento, arpeggiando e ripetendo le note di un accordo tonale (la “tintinnabulazione”), l’altra è la “melodia”, ovvero la voce principale. Uno stile a metà fra monodia e polifonia, senza però rientrare realmente in nessuna delle due categorie.

Come solista è tornato a proporsi Ulf Schneider riscuotendo, con Fratres soprattutto, un vero successo personale, salutato più volte dal pubblico unitamente a I Virtuosi Italiani. Serata molto partecipata e ricca di consensi.