Come ci avvisa l’Autore il breve ma denso libro, di 81 pagine e con due illustrazioni, non è un contributo biografico né filologico alla vita e all’opera di Ludovico van Beethoven, è bensì una collezione di pensieri che sono filosofici, storici e persino paesaggistici il cui baricentro cade sempre sulla figura del Ciclope di Bonn, la cui musica è posta quale ispiratrice di tali pensieri.
Scritte in una prosa elegante, si percepisce immediatamente la cura che è stata dedicata allo stile, le pagine scorrono piacevolmente alla lettura, distribuiscono interessanti intuizioni e riserbano a volte notevoli sorprese. Come ad esempio dei paralleli quasi plutarchiani tra la figura e i sentimenti sottesi entro l’opera di Beethoven, Tondichter ovvero “poeta dei suoni” e, possiamo aggiungere, “tragèda” in senso classico, e l’equivalente del nostro Giacomo Leopardi.
Oppure ancora la singolare associazione di figure, coltivata fino ad un brevissimo sguardo fisionomico gettato sul capo statuario di due Giganti, l’uno della musica, l’altro della medicina, che trovaronsi a vivere nel medesimo tempo e forse ebbero l’uno cognizione, sebbene lontana, dell’altro. Un’ipotesi, questa, non campata in aria anche dal punto di vista della semplice cronologia dato che Goethe, il quale a Tepliz aveva avuto con Beethoven il celebre incontro, era stato colpito nei medesimi anni, da quell’appassionato scienziato che era, dilettante ma sempre geniale, dal rumore e dalla fama che s’era diffusa intorno alla dottrina e al modo di curare i malati inaugurato da Christian Friedrich Hahnemann, il fondatore dell’Omeopatia. Qui, se l’autore del nostro libro sembra quasi esser scagliato per forza centrifuga dai suoi pensieri, dobbiamo però non trascurare ch’egli fa riposare su basi salde le rampe di lancio delle sue proiezioni: Goethe giunse a suggerire al principe di Schwarzenberg d’affidarsi per i suoi malanni alla scienza del dottor Hahnemann e nulla potrebbe impedirci di credere che il Poeta abbia, sia pur con la circospezione che gli veniva dalla sua “Menschenkentniss” ovvero dal suo rapido riconoscere il carattere di chi gli stava in fronte, sussurrato al gran Sordo irritabile il nome del grande Medico…
Ma nel nostro libro che, va ripetuto, se è breve è tuttavia assai denso, varie altre sono le figure che rivivono in queste riflessioni dell’autore che ad esse riflessioni lascia un fluire coerente e dominato ma ampio, e a vasto panorama, un carattere, quest’ultimo, esplicitamente ascritto al potente e schopenhaueriano Volere che viene rivelato dalla musica beethoveniana della quale fin da subito gli entusiasti ammirarono la proverbiale e splendida Weiträumigkeit, ovvero cercando della parola tedesca di tradurne il senso riposto: la “capacità di disvelar alla mente immensi spazi” (e qui il parallelo con l’Infinito leopardiano corre quasi d’obbligo negl'”interminati spazi” che il Poeta rivede dal suo “ermo colle”).
Ed ecco allora apparire d’un tratto il giovine Franz Grillparzer, rivediamo le due belle e pensose figure di Wilhelm Furtwängler e Willem Mengelberg, rivediamo Carl Schuricht, risentiamo la voce autoironica e dolente di Giacomo Puccini che con il dito puntato sullo spartito della nona sinfonia beethoveniana, aperto sul suo pianoforte in quel di Torre del Lago, dice nel suo vernacolo lucchese
Eeh un c’è nnulla daffare la vera musiha l’èqqui drento…
E poi, nel fluire di questi pensieri plasticamente modellati dalle passeggiate dell’autore per la campagna veronese, sul Calamita elbano, sulla montagna gardesana, per le vie ed il lungomare dell’Ardenza livornese, fanno capolino tante altre figure che a buon titolo hanno un qualcosa di beethoveniano vuoi per profondità di pensiero o d’ispirazione poetica: Schopenhauer, Nietzsche ed il suo emulo Heidegger, il prometeico e scanzonato Albertazzi, e di poi gli altri Giganti, Mozart del quale l’autore rivede anche il passaggio per la cittadina di Ala, tra Verona e Rovereto, Haydn, Wagner, Bach, Vivaldi…
Beninteso che ad una attenta lettura, la quale non si limiti solo alla parola esplicita ma pure all’implicita, ci è facile scoprire la fonte dell’autore, almeno per ciò che riguarda gli episodi biografici di Beethoven, e questa fonte è il monumentale Beethoven di Piero Buscaroli. Così come da quest’opera vien mutuato dal nostro autore ed approfondito, con affetto e gratitudine, il commovente “culto”che in tanti, illustri artisti od oscuri bozzettisti ebbero per le casine viennesi dove fu ospitato più o meno a lungo il Genio: rivediamo in disegno ed in parola la casina di Heiligenstadt all’angolo della quale sul muro, e a un dipresso la sera si accende il fanale a gas, è incastrata la statuetta del Sankt Florian, (e come può ora il pensiero non andare all’ultimo eroe della sinfonia Anton Bruckner?), rivediamo il villino di Gutenbrunn e la casa della Probusgasse e poi quella di Grinzingerstrasse dove il nostro burbero Ciclope si irritava per aver visto la madre di Franz Grillparzer seduta sulla rampa di scale ad ascoltare rapita la musica di pianoforte che veniva dalla porta dell’appartamento il cui pigionale era il gran Sordo!
Sembra quasi, in questo libro, che nessun filo conduttore, nessun tema precipuo vi sia a fondamento o si possa scorgere; ma quando si ascoltano le sonate per piano del Ciclope, quando risuonano le note possenti della quinta sinfonia e della settima e della nona che cosa può restare di temi o fili conduttori? Quando il Gigante si muove occorre trattenere il respiro e ammirare!
Nel libro fa capolino, piuttosto, un singolare grazioso racconto utopico. Forse nacque, questo racconto che par quasi una favoletta, per la nostalgia incolmabile del fatto che il Ciclope di Bonn non seguì l’orma di Mozart prima e di Goethe poi, e mai varcò l’Alpe per venir a mezzogiorno di essa. Se nel libro si racconta in un lampo di Mozart che suonò a palazzo Pezzini in quel di Ala, brucia come fiamma un rimpianto: come avrebbe reagito il divino Beethoven a veder la val d’Adige quando dopo Trento si chiude e si rinserra all’antica Chiusa Veneta per poi aprirsi al sole meridionale verso la Verona che già accolse con divertita curiosità Goethe!
Ecco allora; e si immagina che nell’ottobre o nel novembre del 1827 la forte fibra di Beethoven abbia vinto il male che lo affliggeva e ch’egli, ristabilendosi, intraprenda un viaggio lungo il lago di Garda, selvaggio ancora e tiepido, e ricco di frutti e buon desinare. Beethoven vi è accompagnato con i suoi cari sodali viennesi, c’è anche il dottor Andreas Wawruch che lo vigila nella convalescenza, e non mancano dolci momenti conviviali e belle girate sull’appena inaugurato battello a vapore: da Malcesine o da Limone dalle buone acque si parte per una visita a Salò dove un pievano del luogo, assai dotto e documentato, racconta a Beethoven di Gasparo l’inventore del violino e gli mostra degli spartiti colle antiche musiche…
Non manca fra le pagine un avvertimento che si può perfino percepire come ironico quando l’autore, che sembra aver letto con molta attenzione il quarto tomo de “Il Mondo come Volontà e Rappresentazione” scrive che la celebre definizione della Musica in Schopenhauer pare proprio calcata perfettamente a misura dell’Eroica o delle altre sinfonie beethoveniane! Un’ironia perché Schopenhauer che pure ascoltò la musica di Beethoven ad essa preferì quella mozartiana… (Ma noi sappiamo anche che a dispetto del culto schopenhaueriano che portò Wagner a spedir spartiti e libri suoi al filosofo di Francoforte, questi con estremo garbo gli rispose che pur ammirandone il talento egli sarebbe restato assiduo ascoltatore del suo amato Gioachino Rossini…)
Un libro dunque, questi “Pensieri beethoveniani” da leggere senza attendersi teorie o dottrine ma da scandagliare con attenzione: vi si trovano intuizioni che possono essere, per un esperto, suscettibili di sviluppi biografici o d’interpretazione artistica.
Un cenno, ora, alle due illustrazioni del libro. Coraggiosa impresa sarebbe stata se l’autore che delle figure ne è anche il disegnatore avesse aggiunto alla casina di Heiligenstadt in Pfarrplatz ed alla casa natale di Hahnemann anche un ritratto di Beethoven. Ma “am Anfang ist immer Barbarei” dice Nietzsche e cimentarsi con il ritratto del Ciclope non è facile perché non si ritrae un viso soltanto ma si ritrae un qualcosa d’Abissale.
Forse, e questa era la strada apparentemente più breve, si poteva copiare e addirittura ricalcare senza timore alcuno (il genio copia e il mediocre imita disse Albertazzi, mattacchione come sempre!) il celebre profilo che ne disegnò Julius Schnorr von Carolsfeld. Dalla maschera che di Beethoven fu presa quando lui era di 40 anni, e che quindi restituisce i lineamenti reali del Ciclope, sorte fuori il ritratto d’un signore che senza esser un Adone e anzi essendo mediocre e normale non era di certo sgradevole. E, a ben vedere, dai lineamenti restituiti, che son più esatti di quelli fotografici, traspare un essere di infinita sensibilità, i cui tratti sono marcati ma mai troppo e hanno una indicibile finezza e nobiltà. Altrettanto avviene nel profilo disegnato da Schnorr von Carolsfeld che fu molto lodato dai contemporanei di Beethoven: si vede un tipo di giovane signore, normale, atteggiato in un lieve sorriso ironico ma la cui espressione sorridente è straordinariamente interiore e distaccata. Per nulla giudicante epperò scanzonata. Segno di chi porta seco un qualcosa di luminoso che altri nemmeno può intuire. È assicurato dalle fonti che Schnorr von Carolsfeld. tracciasse il suo disegno dal vivo durante un ricevimento. Beethoven ivi appare come un essere fiorente e pensoso: i capelli son bellissimi, e fini, e folti, le pieghe del volto nulla hanno di avvilito…
Non si poteva nel libro correr il rischio di trarre fuori un’effige dai tratti marcati. Elly Ney disse, dal di dentro dell’arte che lei conosceva, che ovunque Beethoven è più duro, più tenero, più delicato, più vigoroso di chiunque altro (ma l’allusione era a Mozart) e si deduce l’impossibilità ch’egli avesse dei lineamenti non scolpiti dal pensiero e marcati come li potrebbe aver un birraio. Lui era tutta un altra cosa pur nella sua normale parvenza di colto signore dedito all’arte. Il profilo di Schnorr von Carolsfeld è bellissimo e soprattutto fedele ma ricalcarlo avrebbe davvero posto non pochi problemi d’arte e di riflessione pensierosa al coraggioso che vi si fosse cimentato. Per questa edizione del libro contentiamoci dunque del culto delle case: vi è, in antiporta, un disegno a penna di gabbiano con la celeberrima casina di Pfarrplatz in Heiligenstadt e, in guisa di contrappunto plutarchiano, un disegno a penna e inchiostro su carta quadrettata della casa natale del grande Hahnemann. Una sorta di simbolica diade figurativa per Musica e Salute.
Il libro non è in commercio, costa 18 € e si richiede direttamente all’autore a questo indirizzo: monskaberlaba@gmail.com Oppure contattando l’autore su Facebook (Curzio Vivarelli)