(di Rocco Fattori Giuliano) Una perdita di capitalizzazione per le società italiane wine n’ spirits quotate che ha già superato i cinquecento di milioni €: costano care le tensioni commerciali tra Stati Uniti e Unione Europea che hanno raggiunto un nuovo livello di criticità. L’amministrazione Trump – com’è noto – ha annunciato l’introduzione di dazi al 200% su vino, champagne e altre bevande alcoliche europee, in risposta alla decisione di Bruxelles di applicare una tariffa del 50% sul whisky americano. Questa mossa rischia di avere un impatto devastante su un settore che vale miliardi di euro e che ha negli USA il principale mercati di sbocco.

L’Unione Italiana Vini (UIV) ha lanciato l’allarme: l’annuncio delle nuove tariffe ha già avuto effetti concreti sul mercato. Gli importatori americani hanno sospeso gli ordini, congelando di fatto il commercio di vini europei verso gli Stati Uniti. Il segretario generale di UIV, Paolo Castelletti, ha dichiarato: “L’annuncio del 13 marzo sui dazi al 200% sta già condizionando fortemente il mercato, che è di fatto bloccato. Per questo serve una risoluzione urgente in sede UE”.

Il presidente di UIV, Lamberto Frescobaldi, ha incontrato il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani, chiedendo un intervento immediato per escludere vino e alcolici dalla disputa commerciale sugli acciai e alluminio. “Si colpirebbe un comparto europeo che esporta per un valore di 8 miliardi di euro l’anno, a fronte di un import dagli Stati Uniti di soli 1,35 miliardi di euro”, ha sottolineato Frescobaldi. Tajani si è impegnato a portare la questione all’attenzione del commissario europeo al Commercio, Maros Sefcovic, nel tentativo di avviare un negoziato con Washington.

Dazi, gli impatti sui principali titoli del settore

campari

L’annuncio dei dazi ha scatenato un’immediata reazione sui mercati finanziari, colpendo le principali aziende del settore degli alcolici europei. Tra le società più penalizzate troviamo:

  • LVMH (MC-FR): il colosso del lusso, proprietario di Moët & Chandon e Hennessy, ha visto il valore delle proprie azioni scendere del -12.01% nell’ultimo mese, passando da €800 a €760.
  • Campari (CPR-IT): (grafico qui sopra) la multinazionale italiana, titolare di marchi come Aperol e Campari, ha registrato una flessione del titolo da €6,20 a €5,80 nelle ultime settimane, un calo del -3.88% negli ultimi tre mesi.
  • Pernod Ricard (RI-FR): il gigante francese, proprietario di Absolut Vodka e Chivas Regal, ha perso circa il 5% in Borsa, con le azioni scese da €100 a €95 toccando il 14 marzo il minimo in 52 settimane.
  • Rémy Cointreau (RCO-FR): il produttore di cognac e liquori ha subito un calo del titolo da €50,70 a €45,62 mese. La società è particolarmente vulnerabile ai dazi, dato che il mercato americano rappresenta una parte rilevante delle sue vendite.
  • Masi Agricola (MASI): l’azienda vinicola italiana, fortemente dipendente dall’export negli USA, ha visto il valore delle azioni scendere da €4,50 a €4,10 – con una perdita di circa 12 milioni di euro di capitalizzazione. Inoltre, Masi ha deciso di rinviare l’approvazione del bilancio 2024, in attesa di chiarimenti sulla situazione dei dazi. Il Consiglio di Amministrazione ha posticipato l’approvazione al 31 maggio 2025 e l’assemblea dei soci al 30 giugno 2025 per valutare l’impatto della misura sulle prospettive future del gruppo.
  • Italian Wine Brands (ITWB): il più grande gruppo vinicolo privato italiano risente anch’esso dei rumors sui dazi americani e nell’ultimo mese perde il 7.56% con il prezzo della singola azione che scende da €22.70 a €20.50 – una perdita di 20 milioni di euro di capitale. Dopodomani 21 marzo usciranno i dati del CDA di approvazione del bilancio 2024. Come per Masi Agricola, il titolo oggi ha tentato un rimbalzo
italian wine brands

Dazi, un settore a rischio

L’industria del vino e degli alcolici europei rischia di subire un colpo durissimo se le nuove tariffe entreranno in vigore. Gli Stati Uniti rappresentano uno dei principali mercati di esportazione per i produttori europei, e un dazio del 200% renderebbe i loro prodotti non competitivi rispetto alle alternative locali o di altri paesi non soggetti a tariffe punitive.

Gli operatori del settore temono un effetto domino: se le esportazioni verso gli USA si riducono drasticamente, le aziende saranno costrette a trovare nuovi mercati di sbocco o a ridurre la produzione, con conseguenti perdite economiche e potenziali ricadute occupazionali. Alcuni produttori stanno già esplorando strategie alternative, come la diversificazione geografica delle vendite e l’aumento degli investimenti in promozione e distribuzione in altri mercati.

Nei prossimi giorni, l’attenzione sarà rivolta ai negoziati tra l’Unione Europea e gli Stati Uniti. Se Bruxelles non riuscirà a convincere Washington a rivedere la propria posizione, il settore del vino e degli alcolici europei dovrà affrontare una crisi senza precedenti.