(di Gianni Schicchi) In occasione dei 50 anni della riapertura del teatro e dopo più di un ventennio di assenza, torna al Filarmonico Elektra, la tragedia di Sofocle, con la poesia di Hofmannsthal e la musica di Richard Strauss. La Fondazione Arena ha deciso di ripresentare questa storia di tre donne (una madre e due figlie) e i loro disagi emotivi in seguito ad un evento traumatico, con Clitennestra che uccide il marito Agamennone – incarnante l’autoritarismo maschile – per imporre la propria libertà femminile, ma che si trova imbrigliata nel gestire le conseguenze della sua azione.

Con la figlia Crisotemi poi, che vuole evadere da questa prigione di angosce, mentre l’altra Elektra desidera vendicare la morte del padre, senza essere in grado di agire, lasciando al fratello Oreste il compito di uccidere la madre per vendicarlo. La regia dell’opera è di Yamal das Irmich, coadiuvato nel suo lavoro da tre donne, per le scene da Alessia Colosso, i costumi da Elisabetta Nascimbeni e le luci da Fiammetta Baldisseri. 

La vicenda viene fatta rivivere agli anni venti del Novecento, nel momento della  nascita della Repubblica di Weimar: una scelta non proprio male, con in scena pochi elementi, al di là di un grande sipario che si apre sul trono di Clitennestra e la sua compagnia di amicizie equivoche. In primo piano una sala con un tavolo e qualche divano. Al di sopra di un caminetto vi è la grande effige del Kaiser (Agamennone) e qualche manichino con appesi i suoi vestiti. 

La regia rispetta in pieno le intenzioni straussiane nel voler creare un lavoro sconvolgente, tra psicanalisi, delitti e colori orchestrali lussureggianti. La versione musicale adottata in prima italiana di Richard Dȕnner, è molto rispettosa dell’originale rinunciando ad un complesso orchestrale mastodontico che richiederebbe ben oltre centodieci esecutori. 

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Elektra è l’opera shock di Strauss: la potenza del mito degli Atridi riletta all’epoca di Freud, alla scoperta dell’inconscio e della ridefinizione dei conflitti familiari. Una storia al femminile, quella di Elektra, della sorella Crisotemide e della madre Clitennestra, in una notte da incubo in cui il sangue genererà altro sangue. Strauss, affermato compositore sinfonico, che aveva già scandalizzato la società della sua epoca con la Salomè di Oscar Wilde, riscritta dai versi e dalla sensibilità decadente del letterato Hugo von Hofmannsthal, decise di musicarla. La prima debuttò a Dresda nel 1909 e fu un vero shock per il pubblico che l’accolse solo con un tiepido consenso di stima.  

Il nuovo allestimento dell’opera prodotto dalla Fondazione Arena è certamente funzionale, ma ciò che ci ha colpito in pieno è la parte musicale che il direttore tedesco Michael Balke (aveva già guidato Salomé di Strauss del 2018) è riuscito ad imporre, facendo emergere una partitura che si erge a blocchi sonori di grande possanza, guidandoci nel loro intrico con lucida chiarezza, ponendoci al centro di un vortice schiumoso di violenza, di rabbia, di passioni furibonde. Tutto risulta chiaro, organizzato in una ferrea legge teatrale che stupendamente svolge i crescendi di tensione, le oasi liriche di ripiegamento, le estasi deliranti. Complice anche un’orchestra areniana, oggi dalle possibilità illimitate e galvanizzata fino ai limiti del sostenibile. 

Il cast è del tutto in sintonia con l’ottica interpretativa del direttore. L’americana Lise Lindstrom ci sembra al momento l’Elektra più completa, interpretativamente e vocalmente, che si possa sperare di udire. Voce ampia e di timbro gradevole, almeno sino agli estremi acuti, solida e incisiva in quello centrale, d’altronde determinante, capace pure di morbidezze, languori, estasi e ironie graffianti. Ma voce soprattutto animata da uno spiccato talento espressivo, cui senza dubbio ha giovato la collaborazione con alcuni fra i maggiori direttori odierni. Il suo grande monologo iniziale “Allein! Weh, ganz allein. Der Vater fort” ha accenti di drammaticità tano più intensi quanto più rinunciano all’estroversione altisonante, per scavare invece nelle pieghe di un dolore di cupa ossessività. Per diverse ragioni, non meno rilevante è stata la Clitennestra di Anna Maria Chiuri, nel suo volgersi ad una interpretazione marcatamente espressionista con cui rendere, come in genere fanno sempre le grandi attrici cantanti in questa parte, il declamato musicale; ma che scolpisce ogni sillaba con tale personalità, singolare forza d’accentro, da creare un personaggio indimenticabile. 

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Fra i tre debuttanti al Filarmonico, la Crisotemide della greco canadese Saoula Parassidis è cantata molto bene con un timbro delicato, ma piuttosto bello e il fraseggio disegna comunque un apprezzabile personaggio grazie al concorso di un accompagnamento quanto mai sensibile. Bella e tonante è la voce che ha offerto Thomas Tatzi al suo Oreste, mentre Peter Tantsitis rende da par suo la nevrotica, ansiosa insicurezza di Egisto. Quasi tutte di buon livello le parti di fianco e lo stuolo delle sconvolte ancelle cameriere. 

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Finale dell’opera davvero sconvolgente con la protagonista – appagata dalla vendetta – che veste i panni del padre (ne adotta perfino i baffi) e l’elmo per finire disfatta ai piedi del trono occupato dal fratello vendicatore. Fra le ovazioni finali a dir poco clamorose per tutti, la regia lascia giustamente che Lisa Lindstrom vada per prima e da sola a prendersi l’iniziale lunghissimo consenso del pubblico: una protagonista giustamente vincitrice anche sul piano musicale.