Comandò il plotone d’esecuzione dei condannati al Processo di Verona

(di Claudio Beccalossi) La storia che ritorna. Con personaggi caduti nell’oblio. Ma ritrovati nel Cimitero monumentale di Verona, custode della memoria. È il caso di Nicola (Nico o Nino) Furlotti che comandò il plotone d’esecuzione di cinque, su sei caduti in mano nazifascista, dei diciannove membri del Gran Consiglio del fascismo che, nella seduta svoltasi tra il 24 ed il 25 luglio 1943, firmarono a favore dell’Ordine del giorno Grandi che sfiduciò Benito Mussolini dalla carica di presidente del Consiglio, venendo poi sostituito dal maresciallo d’Italia Pietro Badoglio per decisione di Vittorio Emanuele III, già consenziente all’arresto dell’ormai ex duce.

La tomba individuata di Nicola Furlotti 

 I contrari al Documento Grandi furono Carlo Scorza, Carlo Alberto Biggini, Gaetano Polverelli, Antonino Tringali Casanuova, Ettore Frattari, Enzo Galbiati, Roberto Farinacci e Guido Buffarini Guidi. Giacomo Suardo si astenne.

 Al termine d’un processo-farsa in Castelvecchio (nella sala da concerto degli “Amici della musica” adattata in tribunale), tra l’8 ed il 10 gennaio 1944, Gian Galeazzo Ciano, genero di Mussolini in quanto marito di  Edda sposata nel 1930, Emilio De Bono, Giovanni Marinelli, Carlo Pareschi, Luciano Gottardi vennero condannati a morte mentre Tullio Cianetti ebbe 30 anni di reclusione perché ritrattò con una lettera a Mussolini. 

   La sentenza decretò la punizione suprema, in contumacia, anche per gli altri firmatari (Dino Grandi, Giuseppe Bottai, Luigi Federzoni, Cesare Maria De Vecchi, Umberto Albini, Giacomo Acerbo, Dino Alfieri, Giuseppe Bastianini, Annio Bignardi, Giovanni Balella, Alfredo De Marsico, Alberto De’ Stefani ed Edmondo Rossoni). Imputati mai presi, sopravvissero alla fine della guerra.        

       La pena capitale dei cinque ex membri del Gran Consiglio del fascismo avvenne il giorno dopo la fine del processo, attorno alle ore 9.00 dell’11 gennaio, al poligono di Forte San Procolo (ex fortificazione austriaca denominata originariamente Vorwerk San Procolo, eretta tra il 1840 ed il 1841). 

   Fu, appunto, il maggiore Nicola Furlotti (“anonimo ex sergente della milizia fascista”, “nominato comandante da Pavolini nelle caotiche giornate della seconda metà del settembre 1943”, definito “fascista puro e duro, Comandante della Guardia Repubblicana di Verona e della famigerata Disperata, da lui fondata”, già coordinatore del servizio pubblico durante il processo in Castelvecchio) ad impartire ai trenta militi fascisti del plotone (sei per ciascun condannato), al loro primo obbligo di soppressione, l’ordine di sparare alla schiena, quali traditori, dalla distanza di dodici metri. 

La tomba individuata di Nicola Furlotti 

   I predestinati vennero messi a cavalcioni delle sedie non fissate al terreno, strettamente legati alla spalliere. Stando a testimoni, la prima scarica non avrebbe ammazzato nessuno rendendo necessario un secondo fuoco che lasciò rantolanti alcuni. Furlotti, a questo punto, si sarebbe incaricato di liquidare con la sua pistola “Beretta” cal. 7,65 uno o più morenti: tre colpi di grazia alla testa per Ciano (“che non ne voleva sapere di morire”), l’ultimo dei quali con la canna appoggiata alla tempia ed un altro per Pareschi (come attesta un filmato ripreso da un cineoperatore). Forse (secondo una versione) sparò due proiettili anche a Marinelli. Il maggiore si trovò citato in cronache processuali post guerra come “lo spavaldo comandante del plotone di esecuzione che giustiziò Ciano e gli altri condannati del famoso processo di Castelvecchio e… si compiacque di dare al Ciano stesso il colpo di grazia sotto gli occhi del figlioletto che aveva portato seco ad assistere al sanguinoso e triste spettacolo”. 

   Adempiuto ai compiti di boia, pare che Furlotti ed i suoi si fossero recati a brindare in un locale in corso Porta Borsari, lasciando all’oste, come macabro souvenir, le corde con cui erano stati legati i polsi dei giustiziati. Chissà se l’episodio è vero e che fine abbiano fatto quei legacci… 

   Furlotti, in sue memorie (pubblicate nel 1963 dal settimanale “ABC”), ammise d’aver finito solo Ciano ma il filmato dimostrò d’averlo fatto anche con Pareschi o Marinelli. 

   A guerra conclusa, la giustizia iniziò ad interessarsi al suo impietoso zelo. Latitante, fu processato dal Tribunale alleato di Bologna con altri fascisti veronesi in quanto tra i responsabili dell’eliminazione nella cava Pillon, a Grezzana, del tenente inglese Clive Lyon Williams (evaso dal campo di prigionia di Bussolengo e trovato nascosto presso una famiglia della zona, i Dalla Riva) e del figlio di 17 anni dell’ospitante, Giovanni), il 12 novembre 1943. 

La tomba individuata di Nicola Furlotti 
Nicola Furlotti

   E, sempre in contumacia, Furlotti venne messo sotto accusa nel maggio 1947 dalla Corte d’assise straordinaria (Cas, istituita a Verona il 14 maggio 1945, in applicazione d’un decreto legislativo luogotenenziale del 22 aprile 1945, per giudicare i collaborazionisti dei tedeschi)che gli inflisse 30 anni (secondo altre fonti ebbe sentenza di morte nel 1945 dal Tribunale del popolo). Gli furono attribuiti vari reati, tra cui la partecipazione “all’eccidio di Ferrara del 15 novembre 1943, ordinando in modo minaccioso ai suoi subordinati di eseguire senza discussioni, per rappresaglia e per brutale malvagità, le fucilazioni sommarie di numerosi patrioti detenuti in qualità di ostaggi”. 

   Sarebbe riuscito a nascondersi a Catania sotto il falso nome di Narciso Fabbri, rifacendosi vivo con la sua vera identità nel 1959, dopo il definitivo provvedimento d’amnistia ed indulto.  

La tomba individuata di Nicola Furlotti 

   Nicola Furlotti, 1901 – 20 gennaio 1977 (penultimo e senza foto nell’elenco sulla lapide degli inumati), giace nella tomba di famiglia nel Cimitero monumentale (Zona L, Barbieri, Manufatto T. F., Stilobate, n. 0160).