(di Sebastiano Saglimbeni) “La cultura di Togliatti – che è grande – l’ho vista e l’ho sentita così, non enucleata nella continuità di un discorso, ma quale indicazione del pensiero al pensiero, della dottrina alla dottrina: come un invito a riflettere più che come un dato certo della riflessione. Anche qui egli non si affida facilmente alla opinione o alle notizie altrui. Cultura classica? Certamente: se per classico s’intende ‘di prima classe’ cioè di prim’ordine; se classicità è ciò che continua e non ciò che comincia o s’improvvisa: se è quella nobiltà intellettuale che discende dal passato, cioè dall’antico e dell’antico ritiene non gli echi, ma la sostanza vitale”.
Un tratto, questo, di uno degli scritti che Concetto Marchesi dedicò a Palmiro Togliatti. Il grande umanista di siciliano, di Catania, deputato comunista alla Costituente e ai primi due Parlamenti della rinata, in qualche modo, Italia, lavorò parecchio durante i suoi mandati vicino a Togliatti, ma non si astenne di osteggiare, qualche volta, come diremo più avanti, il leader. Quanto sopra citato va inteso come una valutazione sul leader autentica, non influenzata minimamente dalla medesima fede che accomunava l’umanista e il politico comunista internazionalista.
Tanto densa la bibliografia su Palmiro Togliatti e a tuttora non completamente approntata. Un fascicolo, a forma di libro, costruito dagli Editori Riuniti Riviste del 1984, in appendice agli interventi su Togliatti, annovera più di 200 scritti, ora servizi, di più pagine, dense, ora libri.
Pure per la circostanza del 60°anniversario della sua scomparsa avvenuta il 21 agosto del 1964 in seguito ad una emorragia cerebrale mentre si trovava in Urss, ad Artek, nei pressi di Yalta, ci prefiggiamo il fine di indicare il suo ritratto di uomo e di opera, con riguardo alla sua attenzione rivolta alla Sicilia.
Per la Sicilia, egli si mosse più volte, pronunciando comizi a Palermo e a Messina e scrivendo testi per perorare la causa dell’autonomia siciliana, che si poneva come una questione da risolversi necessariamente, dopo il separatismo che fu superato, scrive Francesco Renda “perché fu inteso da tutta intera la società nazionale non come un problema particolare dell’isola, ma come un momento della lotta per la costruzione di una nuova identità dell’Italia democratica e repubblicana” Ma prima di ricordare un po’ questi scritti e discorsi, che sono compresi in un agile volume dal titolo ‘Per la Sicilia’, con nostra cura e con una introduzione dello stesso Renda (Edizioni del Paniere, Verona,1984), non va sottaciuto che all’indomani della sua morte, all’età di 71 anni, incominciarono a divulgarsi certi anatemi, scritti ed orali, non solo da parte di certi avversari, ma da parte di coloro che si erano inchinati dinanzi all’uomo, riconosciuto come il migliore. Come lo fu, in effetti, per coloro che furono in grado, che sono in grado, di conoscere la sua storia, quella terribile, tragica temperie nella quale visse, mentre era in Italia, in prigione, mentre era all’estero, esiliato, pure in prigione, come accenneremo. Togliatti, volendo indicare la sua vicenda di uomo e di opera, dicevamo, partecipa alla guerra del 1915-18, come infermiere della Croce rossa e dopo essersi ammalato, senza poter concludere il corso di allievi ufficiali, una volta congedato, entra nella vita politica, dopo la conoscenza di Umberto Terracini nel 1914, da qui ad un anno riesce a laurearsi con una tesi dal titolo “Il regime doganale delle colonie”. Quindi la sua passione politica che lo prende per tutta l’esistenza, quindi, nel 1919, primi scritti, con i quali collabora all’ “Avanti!”, per la redazione di Torino. In quest’anno con Antonio Gramsci fonda l“Ordine nuovo”, un settimanale che diventerà il punto di riferimento del movimento dei consigli. Egli cura la rubrica “La battaglia delle idee”. Seguono incarichi dopo che avviene la scissione in occasione dell’VII Congresso del Psi. e con la conseguente nascita del Partito comunista d’Italia. Gli anni che seguono sono intensi di dibattiti e di lotte. Nel 1923 subisce un primo arresto con la reclusione a San Vittore, dal 21 settembre sino alla fine dello stesso anno. Nel 1925 un altro arresto, il 2 aprile, ma viene amnistiato il 29 luglio.
Un anno prima aveva contratto matrimonio con Rita Montagnana. Mentre in prigione nasce il figlio Aldo. Può con Gramsci, tra l’agosto e il settembre del 1925, elaborare le tesi del III Congresso del Pcd’I., che avrà luogo a Lione. Qui, un anno dopo, dal Congresso, tenutosi dal 23 al 26 gennaio, esce vittorioso il gruppo gramsciano. Togliatti è nominato rappresentante del Pcd’I. presso l’Internazionale comunista. Quindi a Mosca, dal febbraio al gennaio dell’anno seguente. Da non dimenticare in questi anni il dilagare delle violenze fasciste, con i brogli elettorali nelle elezioni del 1924, denunciati da Giacomo Matteotti, e con gli arresti dei deputati comunisti Francesco Lo Sardo, Antonio Gramsci ed altri esponenti nel 1926. Francesco Lo Sardo, uscirà morto dalla prigione del regime dopo cinque anni di carcere, Gramsci uscirà pure morto, dopo diversi anni di carcere, dalla clinica romana Quisisana.
Nel 1929, Togliatti, dopo aver lasciato Mosca, ritorna in Svizzera dove subisce un altro arresto e l’espulsione. Ripara a Parigi. Da questa data vari movimenti e impegni di lavoro, in Svizzera dove ritorna e poi in Francia e di nuovo a Mosca e poi in Spagna repubblicana sconfitta, che egli tra gli ultimi abbandona. Ancora a Parigi nel 1940 dove vi resta per sei mesi. Infine in Urss. Sino al 1944, anno del suo ritorno, dopo 18 anni di esilio, in Italia che trova distrutta.
L’amnistia Togliatti
Qui, la famosa “Svolta di Salerno”. Un anno dopo, dal giugno all’8 dicembre, è Ministro di Grazia e Giustizia nel Governo Parri, con riconferma dello stesso incarico nel primo Governo De Gasperi, dal 10 dicembre al 1° luglio 1946, anno che viene eletto all’Assemblea Costituente. Indimenticabile, seppure volutamente dimenticata, per certa destra nera, quella amnistia, mentre ministro, per i detenuti che si erano macchiati di delitti durante la Repubblica di Salò e pure per coloro che durante la lotta di Liberazione, avevano tradito i principi civili ed umani, commettendo delitti.
Ѐ in quest’anno che incontra la giovane deputata Nilde Iotti di Reggio Emilia. Seguono venti anni di intensa vita politica. Le date che vanno dal 1947 al 1950 segnano fatti rilevanti e tragici. Nel 1947, intervenendo alla Costituente, difende l’articolo 7 che ratifica il Trattato lateranense e il Concordato con la Chiesa. Concetto Marchesi, con posizione caustica, lo disapprova, vota contro. Si racconta avesse buttato una brutta bestemmia. Si registra in questo periodo, 1950, il rifiuto di Togliatti a Stalin che lo aveva designato a Praga come segretario del Cominform. Pure rilevante quell’anno 1956 quando Togliatti critica Stalin al XX Congresso del Pcus. Poi, da non dimenticare certe sue aperture partecipate in quel discorso tenuto a Bergamo il 20 marzo 1963, discorso sul rapporto tra comunisti e cattolici. E da qui ad un anno la morte. Abbiamo tralasciato tanti punti, ma in questa sede, come si suol dire, non possiamo tessere tutta la biografia del grande leader comunista e tutta la sua azione politica. Comunque, da non dimenticare la sua oratoria definita classica, non retorica, ma dialettica. Quella pure espressa nel discorso alla Camera il 10 luglio 1948, riguardante il piano Marshall, durante un terribile clima creato dai fascisti e da tanti rappresentanti del capitalismo, con il dente avvelenato nei confronti del socialismo. In risposta a questo discorso seguirono, qualche giorno dopo, i colpi di rivoltella dello studente Antonio Pallante.
L’interesse di Togliatti per la Sicilia con la scrittura va dal 1946 al 1957. Il 12 maggio del 1946 parla ad una folla imponente a Palermo, nella Piazza Politeama; ritornerà a parlare il 27 aprile del 1957 nella stesso capoluogo siciliano, nella Sala Pompeiana del Teatro Massimo. Aveva pronunciato, fra l’altro: “Voi avete davanti a voi, adesso, o per lo meno si affaccia sulla scena siciliana un avversario che è diverso dal vecchio: il grande monopolio capitalistico, la forma più moderna del capitalismo industriale e agrario… Ѐ una forza moderna, nuova, contro la quale bisogna saper combattere…”. Si deve inserire, fra questi due discorsi, quello pronunciato a Messina, l’11 aprile 1947 durante la Riunione dei dirigenti della Federazione comunista. Ne riportiamo un tratto, nel quale viene ricordato il martire Lo Sardo: “Ѐ un momento, questo, in cui la vostra organizzazione e tutte le organizzazioni comuniste della Sicilia sono impegnate in una lotta difficile, che ha grande importanza per tutto il partito. La direzione del partito è certa che la vostra organizzazione in questa lotta saprà tenere il posto che le spetta, che voi saprete mantenervi degni continuatori di quel movimento operaio, socialista, comunista, che ci diede uomini come Lo Sardo e che ha saputo scrivere pagine indimenticabili nella storia del movimento operaio italiano”.
Oggi tutta questa lezione non pare abbia continuità, in quanto sappiamo gli orientamenti opportunistici e biechi degli elettori. Segue un riferimento assai limpido sotto il profilo linguistico sull’Autonomia dell’isola ed augura la vittoria con la conseguente lotta, estesa pure alla questione della terra e all’applicazione di leggi che già esistono a favore degli agricoltori e delle masse agricole della Sicilia. Si deve, secondo il leader, svilupparsi la “cooperazione, che rappresenta il primo passo per il rinnovamento della vita dell’isola”. Nello scritto del 3 settembre del 1944, pubblicato due giorni dopo su “L’Unita”, chiede 3 cose che sono fondamentali: la democratizzazione immediata e profonda di tutto il sistema amministrativo dell’isola, la soluzione tempestiva del problema della terra “con un colpo decisivo al sistema del latifondo”, la ripresa industriale, sia pure minimamente, rivolta all’edilizia e ai trasporti, allo scopo di una diminuzione della disoccupazione e d’un “colpo serio” alla speculazione. Ed andava osservando che “se si sarà capaci di fare questo, la Sicilia è salva, se non, la questione siciliana non potrà che aggravarsi”. Marca, nel discorso del 27 aprile del 1957 tenuto nella sala Pompeiana del Teatro Massimo di Palermo, sopra ricordato, la strage di Portella della Ginestra e le continue uccisioni dei capilega, degli organizzatori comunisti e socialisti in tutta l’isola. Dal discorso del 27 aprile 1957, seguono altri 7 anni tanto intensi di lavoro: completano l’uomo statista, più sagace e lungimirante che abbia potuto avere il nostro Paese, dall’Unità ad oggi, l’uomo che citava nei suoi discordi Dante, Machiavelli, Leopardi, Foscolo, Mazzini e Carducci.
La morte, che sfuggì ai colpi di pistola di Antonio Pallante, fu una grave perdita. A proposito di quell’attentato si scrisse tanto e si ha certa convinzione tuttora che quella famosa vittoria toccata al ciclista cattolico Gino Bartali avesse deviato il popolo democratico, pronto ad una ripresa di lotta civile sanguinosa. Non fu proprio così. Ѐ che Togliatti, tra la vita e la morte, ebbe la forza di ammonire alcuni dirigenti comunisti, corsi al suo capezzale in ospedale, perché non si perdesse la testa. Certo fu pure un po’ distratto il popolo italiano da quella vittoria. Concetto Marchesi non perse l’occasione di scrivere nel testo citato nell’incipit di questa nostra nota definendo quei colpi di rivoltella appartenenti a un “un criminale cattolicamente educato e nutrito di quei sani e generosi principi che hanno tanto credito fra i cittadini ben pensanti e amici del vecchio ordine sociale”.
I funerali di Togliatti
I funerali, dopo il rientro della salma da Yalta, celebrati a Roma, furono imponenti e suggestivi, non dissimili a quelli, vent’anni dopo, di Enrico Berlinguer, il suo segretario. Ispirarono una tra le più belle opere, tra tanta arte del Novecento, dal titolo “I funerali di Togliatti”, firmata da Renato Guttuso. Questo quadro vibra ed esplode forte di verità e di passione politica. Che sono nel rosso sangue delle insegne e nella folla di illustri e di gente comune accorsa a Roma per salutare l’uomo del popolo.
Da non dimenticare, infine, quella polemica intercorsa tra lo scrittore Elio Vittorini e il leader comunista, a proposito dell’autonomia della cultura e della sua pratica, sostenuta dallo scrittore che se ne usciva dal Partito comunista, dopo un suo intervento sul quotidiano “La Stampa”. Togliatti, in risposta, su “Rinascita” con la nota, canzonatoria, “Vittorini se n’è ghiuto e soli ci ha lasciato”. Pure Quasimodo, come altri intellettuali, non si ritenne più scritto al P.C.I. Ma Togliatti poté ugualmente trionfare con altri suoi grandi uomini e, soprattutto, per i suoi grandi meriti di uomo e di politico. Tra questi suoi meriti, l’alta fatica, consistente nella pubblicazione (a cura di Felice Platone, con la supervisione dello stesso Togliatti, che ne stabilisce il riordino tematico), delle Lettere dal carcere nel 1947 e dei Quaderni del carcere nel 1948, presso Einaudi. Queste scritture costituiscono tutto il pensiero, un patrimonio letterario e storico di un uomo bruciato fisiologicamente, non nell’idea, da quel regime fascista.