(di Gianni Schicchi) Il concerto di apertura del 33° festival Il Settembre dell’Accademia (domenica 8), ha visto la presenza della conosciutissima Mahler Chamber Orchestra diretta da Antonello Manacorda, con solista il soprano Anna Prohaska. Una compagine più volte presente al Settembre, tuttavia con una guida sempre diversa ed un organico variabile per il continuo turnare dei suoi componenti.

Interessante poi il suo programma di sala, portato anche in tour (la conclusione è per oggi lunedì 9 nella sede di Lucerna), che comprendeva un trascrizione di alcuni Lied di Mahler operati da Eberhard Kloke, eseguiti per la prima volta nella storia del Settembre, tratti dalla raccolta “Lieder und Gesänge aus der Jugendzeit”. “Considero la maggior parte delle prime canzoni – racconta Kloke – paradigmatiche di tutta l’opera compositiva di Mahler, poiché lui stesso ne scrisse molte orchestrazioni. L’aggiunta di strumentazione era una grande sfida e poteva essere affrontata solo in una procedura di ricreazione compositiva.

Per questa trascrizione ho tentato, con una sorta di processo inverso, di incorporare temi musicali, tecniche compositive, citazioni strumentali e allusioni, dal mondo sinfonico del Wunderhorn mahleriano, orchestrandoli e quindi interpretarli in un’ulteriore composizione”. Le trascrizioni di Kloke si sono mostrate apprezzabili per la sensibilità con cui affronta l’orchestrazione e per il rispetto dell’intenzione originale del compositore, mantenendone l’essenza emotiva e musicale, pur adattata ad un ridotto contesto strumentale.    

Gran parte della curiosità era poi appuntato anche sull’esibizione dell’austro-britannica Anna Prohaska, soprano prevalentemente dedita al barocco. La Prohaska (i lieder le sono stati dedicati da Kloke) vi apporta subito la qualità della sua vocalità cremosa, di un’apprezzabile eloquenza verbale e di un palpabile fervore espressivo: non si tratta di un approccio alle pagine propriamente calligrafico, di continui suggerimenti e sfumature, ma teso piuttosto a comunicare la “Stimmung” globale del brano.

Nella sua esecuzione spicca in particolare il trasporto amoroso che in “Das Mägdlein trat aus dem Fischeraus” e in “Du schlafselig Mägdelein”, da Ich ging Lust durch einen Grȕnen Wald, colpiscono per l’attacco sommesso che suggerisce lo sgomento di chi veglia, solo, sotto un cielo privo di stelle; e poi il brivido che percorre l’esordio dell’ultima strofa di “Scheiden und Meiden” che fa risalire ulteriormente la reazione improvvisa, costituita da un estremo atto di fede. 

Da parte sua l’orchestra risalta per una certa morbidezza generale e nell’ultimo Lied citato, per il sinistro serpeggiare nel registro grave di legni e corni, senza offrirne particolari illuminazioni. Per quanto riguarda l’ordine con cui vengono proposti i Lieder, che lo stesso Mahler modificò più volte e che costituisce un capitolo a parte nella storia esecutiva della sua raccolta, Kloke suggerisce qui un marcato percorso dialettico: pone infatti al centro le angosce del Scheiden und Meiden (Partire è un po’ morire), canzone delle più intense per la semplicità melodica, che lascia risaltare la profondità emotiva del testo, dove Mahler utilizza armonie modali e toni minori per creare un senso di tristezza e nostalgia; ad abbracciarlo i due bani illuminati dalla complicità amorosa: la Fantasia dal don Giovanni e Selbstgefȕhl” . 

Quanto alla seconda parte del concerto, ecco nuovamente la super utilizzata Sinfonia “Dal Nuovo mondo” di Dvorak. Pagina sempre di effetto, amatissima dal pubblico per le assunzioni di motivi presi dal canto popolare americano – pure se mediati e filtrati attraverso una sensibilità europea – e partitura che mostra quanto Dvorak sia stato attratto dalle potenzialità delle scale pentatotoniche. La Mahler Chamber mostra di conoscerne a menadito l’esaltante imponenza, specie l’Allegro con fuoco finale, lungamente sviluppato insieme agli spunti dei temi principali, di cui Manacorda ne spreme la dirompente carica innovativa, dove l’esasperazione sistematica dei contrasti e l’estremizzazione dei tempi mostrano l’evidente modello delle esecuzioni storicamente informate.

E tuttavia Manacorda appare anche personalissimo per la dismissione di un certo tono generale, appena ampolloso e retorico, a favore di più agili e moderne inflessioni. La pittura sonora di Dvorak è tutta en plein air, fatta di spazi, di profumi e di suoni, visti ed uditi in una campagna o in un villaggio. La terra ne è la vera protagonista, con l’umanità e i misteri che la abitano. Così la Nona Sinfonia, per le mani del direttore torinese, prende una levigatura ed una bellezza strumentali esemplari, ma anche respiro e movimento, luci ed ombre, vitalità e forza indomabili. 

In apertura è stata eseguita pure la rara Berceuse elegiaca op. 42 di Ferruccio Busoni, che risplende di una luminosità opaca prescritta con la sordina agli archi, sfruttando i registri medi e bassi dei fiati, e gli armonici dell’arpa e degli archi, amalgamati dalla celesta e dal gong. Ne esce un ritmo che suggerisce tempo ed immagini che si perdono in eterne lontananze, come in una dissolvenza della memoria, dove l’armonia è oltre i confini della tonalità. Vistoso successo della serata con ottima affluenza di pubblico, nonostante l’inclemenza del tempo e vero trionfo per Manacorda e la Mahler Chamber. (Gianni Schicchi)