(di Giorgio Massignan) Gli strumenti urbanistici, molto spesso, sono stati e sono  ridotti a puri atti burocratici per ratificare le scelte d’uso del territorio decise dagli investitori economici e confermate dal potere politico-amministrativo. 

Questo metodo, basa la pianificazione del territorio soprattutto sul valore economico delle aree, intese come opportunità speculative, per realizzare strutture edilizie per le funzioni più redditizie, anche se non necessarie per l’equilibrio degli assetti territoriali, e/o per investire capitali di dubbia provenienza. 

L'urbanistica non può essere risultante di interessi

Le aree ‘vuote’, sono considerate in parcheggio, in attesa di essere edificate. 

In questo tipo di pianificazione soggettiva, il ruolo degli urbanisti si limita a tentare di giustificare tecnicamente le scelte dettate dal rapporto tra il potere economico e quello politico, con il risultato di realizzare degli agglomerati edilizi disordinati, con periferie prive di una propria identità, oltre che degli spazi necessari per i servizi e il verde. 

In questi contesti,  la residenza si mescola con i poli commerciali, direzionali e logistici, senza un’equa distribuzione degli spazi vuoti, dei volumi e delle destinazioni d’uso. 

Ne risultano città con problemi insolubili di traffico e con un consumo di suolo che ha ridotto, e in molti casi annullato, il rapporto città/campagna, riunendo le sfrangiature periferiche del tessuto urbano cittadino con i borghi rurali esterni.

L’urbanistica dev’essere partecipata

Che fare? Innanzitutto condividere con una comunità allargata, portatrice di interessi, le scelte urbanistiche e il processo di formazione degli atti di pianificazione e non limitarsi a concedere il solo ascolto; quindi, bloccare il consumo del suolo e iniziare una reale rigenerazione delle aree dismesse, considerando anche la decostruzione per riconvertire al verde le aree impermeabilizzate e inutilizzate. Ma, soprattutto, evitare di pianificare il territorio per singole “manifestazioni d’interesse”, ma attraverso un piano organico e complessivo che coniughi i sistemi residenziali, produttivi, culturali, del verde e della mobilità.