(di Paolo Danieli) Parlare di immigrazione senza parlare dell’Africa è come parlare della malattia senza occuparsi della causa che l’ha determinata.
Una delle maggiori responsabilità storiche dell’Europa è quella di avere abbandonato l’Africa dopo averla colonizzata. Effetto della guerra persa. Però, basta leggere un libro della scuola dell’obbligo, la 2aª guerra mondiale delle nazioni europee l’hanno persa solo l’Italia e la Germania. Che di colonie ne avevano meno di tutte le altre. Eppure le hanno perso anche le nazioni vincitrici, come la Francia e l’Inghilterra.
Hanno, dicono, vinto la guerra. Ma il loro impero coloniale non c’è più. Non è una stranezza? Da che mondo è mondo chi perde paga, ma chi vince viene premiato. E invece è accaduto il contrario. Qualcosa non quadra. E quello che non quadra è la narrazione che del conflitto e delle sue cause è stata fatta.
In realtà è stata tutta l’Europa a perdere, compresi i paesi considerati vincitori. Come dimostrato dagli esiti verificabili a distanza di decenni. In realtà la guerra l’hanno vinta gli Stati Uniti. Inghilterra e Francia non erano altro che delle loro succursali oltre oceano. La storia del dopoguerra lo dimostra.
Lo svolgimento ed il compimento dell’opera iniziata nel 1939 ha subito una sospensione durante il periodo della guerra fredda a causa della presenza dell’Unione Sovietica, che pure stata vincitrice, ma rappresentava un modello antitetico a quello capitalista di cui gli States sono strati veicolo. Ma nel 1989, svanita l’anomalia comunista, il compimento della realizzazione dell’egemonia americana si è appalesato agli occhi anche del più sprovveduto o distratto europeo.
Questa breve digressione storica per spiegare il motivo per i quale l’Africa, naturale oggetto dell’influenza europea che avrebbe dovuto proseguire, pur con diverse modalità, anche dopo la decolonizzazione, è stata prima abbandonata alle multinazionali americane ed ora alla Cina.
Cosicché quello che avrebbe dovuto/potuto essere il nostro backyard, per dirla con i vincitori, è finito nella sfera d’influenza cinese. Un vero capolavoro strategico e diplomatico degli Usa che sono riusciti nell’intento di regalare un intero continente a quello che loro considerano un potenziale nemico.
La penetrazione cinese in Africa
Ma veniamo all’Africa. Il 9° Forum sulla cooperazione Cina-Africa che s’è tenuto a Pechino il mese scorso è la consacrazione di quanto descritto. Questa partnership, impostata intelligentemente su forme collaborative e sulla prospettiva di un futuro comune, garantisce ai paesi africani sviluppo e modernizzazione. In cambio Pechino può contare sullo sfruttamento delle più grandi risorse del mondo di materie prime e minerali strategici per la tecnologia.
Un esempio per tutti. La Repubblica Democratica del Congo nel 2007 ha stipulato l’accordo “Miniere contro infrastrutture” con il quale la Cina ha acquisito la maggior parte delle concessioni delle miniere di rame, cobalto, oro, litio e terre rare.
Xi Jinping ha stanziato per la politica verso l’Africa per i prossimi 3 anni finalizzati a sviluppare le infrastrutture l’agricoltura, l’energia green e 1 milione di posti di lavoro 360 miliardi di yuan pari a 51 miliardi di dollari. Una scelta da significato politico rilevante che serve a rimarcare l’internazionalizzazione della valuta cinese.
Dal punto di vista finanziario la Cina controlla diversi Stati africani indebitati con le banche cinesi controllate dallo stato. Tuttavia questi debiti hanno permesso loro di costruire le loro infrastrutture. Un metodo più astuto e meno visibile di colonizzazione rispetto a quella europea o delle multinazionali. Ed anche se in qualche paese africano comincia a farsi largo questo sospetto, il risultato complessivo è l’egemonia cinese sull’Africa. Un continente che poteva essere il partner naturale dell’Europa, che adesso dall’Africa ha solo il problema degli immigrati. Che non vanno né in America né in Cina, ma vengono da noi.
Prova inconfutabile che l’Europa, dopo aver perso la 2ª guerra mondiale, è anche riuscita anche a farsi soffiare l’Africa dalla Cina e a raggiungere l’irrilevanza internazionale, intensa com’è a trastullarsi con le 12 stelle della sua insignificante bandiera.