(di Gianni Schicchi) 16 ottobre 1866: una data che i Veronesi dovrebbero sempre ricordare perché la loro città, dopo 52 anni si liberò anche dal giogo austriaco, dopo aver subito quello napoleonico (1797 – 1814) per diventare italiana a tutti gli effetti. Tre giorni prima gli austriaci si erano già ritirati dall’occupazione per un trattato diplomatico mentre già il 15 ottobre usciva la prima copia del nostro giornale, L’Adige di Verona.
La libertà entrata in città con i Bersaglieri da Porta Vescovo diede via libera al naturale buon umore dei veronesi e al loro spirito associativo, disperdendo l’atmosfera di sospetto e di diffidenza creata dall’Austria, che vedeva nell’accordo spirituale della popolazione un incentivo a cospirazioni ed eventuali sommosse rivolte contro la sua tirannide.
Primi a godere del diritto di associazione fu il ceto dei benestanti. Sullo scorcio di quell’anno sorsero il Club del Teatro, al rialzato del Teatro Filarmonico e una Società ricreativa patriottica del Baldo. Ma anche i quartieri popolari, a destra e sinistra d’Adige risposero velocemente al clima dei tempi nuovi dando vita alle società ricreative El Montaron alle Rigaste di San Zeno e all’associazione L’Amicizia in vicolo Orologio nei pressi di Santa Maria in Organo.
L’esercito nazionale entrò dunque festeggiatissimo in città il 16 ottobre 1866. Podestà di Verona, nell’ultimo periodo di dominazione austriaca fu Edoardo De Betta, il quale resse poi la città durante il periodo interposto tra la fine del governo straniero e il principio del governo nazionale. Il generale francese Le Boeuf, la mattina di quel 16 ottobre, dopo aver ricevuta Verona dai rappresentanti dell’Austria, la consegnò all’autorità municipale, che ebbe l’arduo compito di reggere politicamente la città in quei giorni per tanti traguardi difficili e di mantenervi l’ordine pubblico.
Nei giorni seguenti, 21 e 22 ottobre ebbe luogo la votazione plebiscitaria con la quale i veronesi, provincia compresa, approvarono la loro unione al Regno d’Italia sotto lo scettro di Vittorio Emanuele II e dei suoi legittimi successori. I voti affermativi nella provincia intera furono 88.864; quasi nessun voto contrario. Il podestà De Betta si recò quasi subito a Torino e il 4 novembre, insieme ai rappresentanti delle altre provincie venete, annunciò al Re l’esito del plebiscito.
Vittorio Emanuele ed i figli Umberto e Amedeo visitarono il 4 novembre Verona, presentandosi in una Arena gremita di popolo che acclamava e sventolava fazzoletti bianchi: uno spettacolo solenne, narrano le cronache, e indimenticabile per quanti vi si trovavano presenti.
La statua equestre dedicata a Vittorio Emanuele, eretta in piazza Bra nel 1883, ricorda degnamente ai posteri, il momento che segna la divisione di due epoche storiche. Il primo a reggere la città in nome del governo nazionale, quale commissario straordinario del Re, fu Giulio Benso duca della Verdura; primo prefetto, due mesi dopo, Antonio Allievi; primo sindaco, il marchese Alessandro Carlotti.
A questo punto la storia politica di Verona non ha più nulla di notevole da ricordare, tranne la visita di Garibaldi nel 1867, quando egli preparava la spedizione di Mentana. Una targa con “O Roma o morte” lo ricorda ancora su uno dei grandi palazzi affacciati sul Liston.