(di Bulldog) E’ sempre un grave errore rileggere la storia mettendo gli occhiali del presente cercando di sfruttarla per giustificare le proprie politiche attuali. Specie se sono politiche drammaticamente sbagliate. I fatti sono questi. Il Comune di Verona – nella persona del suo assessore senza portafoglio alle “varie ed eventuali” compresa la “memoria storica” Jacopo Buffolo – ha ricordato oggi (senza mai nominarla correttamente) la Commissione Italo-Tedesca che nel 1955 a Verona venne istituita per selezionare gli emigranti italiani da mandare a lavorare in Germania.
Come mai nacque quella Commissione? Nella Seconda Guerra Mondiale la Germania perdette circa 16 milioni di soldati in un’età compresa fra i 16 ed i 40 anni. Praticamente, non v’erano più uomini in grado di occuparsi della ricostruzione delle città tedesche distrutte dai bombardamenti a tappeto degli Alleati. Per lavorare, erano rimasti soltanto i tedeschi prigionieri di guerra, i ragazzi sotto i 15 anni e gli over 60, ma dei primi quelli nelle mani dell’Armata Rossa non erano più disponibili: vennero infatti trattenuti in URSS ai lavori forzati per ricostruire Stalingrado e le altre città finite nel tritacarne della guerra. Tornarono a casa verso gli Anni Sessanta.
Dunque, la Germania per ripartire aveva bisogno di soldi – e l’Italia cancellò il suo credito di guerra verso Bonn – e di braccia e le cercò in Spagna, Portogallo, Turchia e Italia. Ma non erano migranti da salvare con le ONG, non erano immigrati clandestini.
La Commissione Italo-tedesca – il personale era tedesco, in larga parte femminile che si integrò benissimo a Verona e mise su famiglia e da qui non si spostò più – aveva il compito di esaminare domanda per domanda, persona per persona, e soltanto chi era sano, di buona costituzione fisica, dalla fedina penale pulita, poteva ottenere il permesso di andare in Germania e iniziare a lavorare nelle fabbriche o nelle costruzioni edili. I centri di accoglienza per i gastarbeiter italiani non erano nuovi come il Cas in Albania, erano semplicemente gli ex campi di concentramento che avevano visto passare i dissidenti tedeschi, gli ebrei, i prigionieri alleati… sempre dalle stesse baracche…
Quindi, tutto diverso da quell’accoglienza catto-comunista che si vuole fare oggi in Italia. “Gli spazi nella nostra città cambiano e si trasformano. Dove – commenta in un mirabolante comunicato Jacopo Buffolo – oggi sorge una scuola, 70 anni fa, è stato costruito dal Comune di Verona con il finanziamento del Ministero del Lavoro, un centro per i migranti in entrata e in uscita (sic!) dalla Germania. Erano accolti in uno spazio accogliente e dignitoso, curati e indirizzati verso destinazioni predeterminate. I fenomeni migratori ci sono sempre stati, dal 1860 ad oggi almeno 26 milioni di italiani hanno valicato i confini verso altri Paesi in cerca di fortuna. La gestione dei flussi nel tempo è stata più o meno efficace, a volte generando fenomeni di razzismo, a volte di integrazione, opportunità e crescita. Oggi creiamo un ponte tra passato e presente, portando le esperienze del passato all’attenzione della politica governativa di gestione dell’immigrazione contemporanea. Governare i flussi migratori in entrata e in uscita dai paesi è possibile, garantendo accoglienza, lavoro e dignità a chi entra nel nostro territorio”.
Migranti? I gastarbeiter in Germania? I minatori di Marcinelle in Belgio mandati dal Governo di Roma in cambio dei carbone? Con i sans-papier dei giorni d’oggi quella generazione che ha ricostruito l’Europa non ha proprio nulla da spartire. I gastarbeiter si erano fatti la guerra, ma avevano chiuso col dolore del passato per costruire una nuova Europa, la loro Europa. Sopportarono di tutto, ma – non a caso – non andarono a fare gli schiavi nei campi bavaresi o a prostituirsi nelle periferie delle città. Lavorarono sodo, senza pause per anni, e poterono metter su famiglia dopo anni.
La differenza è tutta qui e non è una differenza da poco. La storia ci indica il modello corretto di accoglienza e integrazione; Buffolo e i woke di casa nostra ci vogliono invece imporre un lassez-faire che mette a posto la loro coscienza di boyscout, ma getta nella disperazione irregolari africani ed asiatici abbondonati per strada e Italiani costretti a coabitare con loro.
Il modello è proprio la Commissione ed entra chi ha i requisiti per entrare. Bastava copiare, insomma. Anche un boyscout può arrivarci…