(di Gianni Schicchi) Il connubio artistico tra il violoncellista Mario Brunello e I Virtuosi Italiani ha sempre dato in passato copiosi risultati. Anche nel concerto di giovedì 22 novembre al Teatro Ristori il loro nuovo incontro è sfociato in una esecuzione di alta, altissima qualità, capace di irretire l’ascoltatore e di trascinarlo verso un mondo espressivo fatto di colori luminosi, di slanci dolenti, di ripiegamenti e gesti tragici, venati di lirismo, di un’espressività spesso tesa e portata all’estremo.
Lo diciamo soprattutto riferendoci alla seconda parte del concerto, quando il violoncellista di Castelfranco Veneto ha voluto proporre al pubblico veronese musiche del moldavo Mieczyslaw Weinberg, autore cui da qualche tempo tiene in maniera particolare, tanto da inserirlo spesso nelle sue esibizioni.
Ma Brunello ha voluto mettere in evidenza soprattutto la singolarità dell’ispirazione del compositore ebreo moldavo, che diversamente dai musicisti otto-novecenteschi si accosta al violoncello non per omaggiare il grande modello bachiano, ma per individuarne un percorso autonomo. Weinberg scomparso nel 1996, sta godendo attualmente di una straordinaria fortuna, specie discografica.
Nel 1939 a vent’anni, ebbe una vicenda personale assai tormentata, che lo costrinse ad allontanarsi dal suo paese natale a seguito dell’invasione nazista, per rifugiarsi nell’Unione Sovietica; prima a Minsk per la formazione nella composizione, quindi a Tashkent in Uzbekistan e infine a Mosca, dove nel 1953 fu arrestato dalla polizia di Stalin nell’ambito delle ultime propaggini delle “purghe” ai danni dell’intellighenzia ebrea sovietica.
Una personalità mite, che coltivò rapporti di stima professionale e amicizia con Shostakovich, di cui si considerò spesso allievo e la cui produzione fu simile nei generi a quella del suo mentore, con ventidue Sinfonie, sette Opere liriche, diciassette Quartetti, otto Sonate per violino, quattro per violoncello e quaranta colonne sonore per film, tra cui la più celebre fu quella composta per “Quando volano le cicogne”, Palma d’oro al Festival di Cannes del 1958 e unico film sovietico ad avere ottenuto questo riconoscimento.
Nel concerto del Ristori sono stati così proposte due pagine fra le più note di Weinberg: il Concertino per violoncello e archi e la Sinfonietta n° 2 Op. 74 per archi e timpani, in cui Brunello vi ha aderito, dapprima come solista e quindi da direttore. Operazione pienamente riuscita in cui ha cercato col suo storico “Maggini” del Seicento un fraseggio sempre di grande naturalezza, variando i colori, imprimendo alle pagine tratti di grande poesia e al contempo di intensa penetrazione.
Il penultimo impegno stagionale de I Virtuosi Italiani al Ristori (si chiuderà il 15 dicembre col Concerto di Natale a San Pietro in monastero) era iniziato con due brani molto noti di Franz Schubert: l’Ouverture D. 8 in do minore versione per archi, quindi la Sonata Arpeggione D. 821 in versione per violoncello e archi dove Brunello è ricorso al suo fenomenale strumento abituale, dal momento che dell’arpeggione si sono ormai perse da tempo le tracce. La Sonata che avrebbe dovuto dimostrare la versatilità dello strumento e l’abilità virtuosistica del solista, ha un carattere in bilico tra una diffusa ispirazione lirica ed una scrittura sciolta e brillante, culminante soprattutto nell’Allegretto conclusivo.
Pur trattandosi di un’opera di circostanza, Brunello e I Virtuosi Italiani ne hanno saputo combinare e fondere organicamente i momenti di più intima effusione lirica, con passaggi energici ed incisivi dal punto ritmico che hanno evidenziato anche il richiamo popolaresco del brano. Mirabili poi gli effetti di “chiaroscuro spaziale” che ne sono usciti, ovvero di passaggio da sfondi a primi piani e viceversa, derivanti dal magistrale trattamento dei contrasti dinamici.
Serata dal forte richiamo che il pubblico ha inspiegabilmente disertato (forse per il freddo che ha colpito anche Verona), ma salutata però dai consensi vistosi e ripetuti dei presenti, con insistenti richiami in proscenio per Brunello, che ha concesso come bis, assieme a I Virtuosi, la Quinta Sarabanda di Bach trascritta per archi e violoncello da Schumann