(di Sebastiano Saglimbeni) “ …oggi l’uomo, quanto è più savio e sapiente, cioè quanto più conosce e sente l’infelicità del vero, tanto più ama la solitudine che glielo fa dimenticare”.  Una proposizione, questa, dello Zibaldone di Giacomo Leopardi, proposizione che  esprimerà estesamente con ”La vita solitaria”, un  testo poetico raramente antologizzato. .

Con questo incipit quanto segue, per qui  allineare appunti, privi di ordine, ma che potranno generare riflessioni su questo  esistere umano nel mondo sempre più immondo, complici gli eterni potenti della pecunia generatrice di guerre e morti, morti di piegati dal tempo e del verde umano (i fanciulli).                            

                  In piazza delle Erbe, l’uno  a pochi
passi dall’altro, i Caffè, di un lindore
eguale a quello delle tre serventi
dallo sguardo rivolto ai pensierosi
andanti frettolosi.

                   Una presenza ad un tavolo tondo
fuori sola; si ciba di amarezze,
algida dentro come la giornata
acquosa, non ancora schiusa
al rientro della primavera.    

Zibaldone, zibaldone

***

Una diecina, ad esempio, di persone vanno considerate una ventina, per la maschera (persona, personae dal latino) che è stata applicata al volto e che ancora non va tolta. E non consolano, non  sanano per nulla i gridi di allegria per le strade.

               Il bacillo delle pesti sul pianeta 
giammai scompare, 
può a lungo sonnecchiare
dentro le proprie cose nelle case. 

Mentre permane il piceo clima di peste pure un’ennesima terrificante guerra in Israele. E sangue, sangue di innocenti. 

                                      ***

Oltre due millenni or sono “Nulla salus bello (Nessuna salvezza in guerra), poetava Virgilio . In guerra – poetava ancora – quegli armati mortali  “caedebant pariter pariterque ruebant/ victores victique (morivano alla pari e alla pari  cadevano, vincitori e vinti). E per questo, dopo una estenuante fatica, quasi moribondo, avrebbe voluto che il suo poema, dal tema, prevalentemente, polemologico,  fosse dato alle fiamme. Non venne rispettato il suo volere una volta morto a  Brindisi, il 22 settembre del 19 a. C. Era  ritornato dalla sempre famosa Grecia.

                                    ***

La peste eterna dentro la Terra ammalata con i suoi alberi e piante nutrenti dei mortali; ammalata per lo sterminato cianuroindustriale-profitto. In una valle di lacrime. E per questo in questa  valle si ricorre alle preghiere con predilezione alla “Salve, Regina”. Una poesia. Che – si racconta – l’avesse scritta nell’XI secolo il monaco disabile Ermanno, dall’anima candida e luminosa. Poesia quando viene cantata nella nostra lingua e nell’agile latino della Chiesa.

                      Salve, Regina,
Mater misericordiae,
vita, dulcedo et spes nostra, salve.

                      Ad te clamamus, 
exsules filii Evae,
ad te suspiramus gementes et flentes
in hac lacrimarum valle.

                      Eia ergo advocata nostra,
illos tuos misericordes oculos
ad nos converte.

                      Et Iesum, benedictum fructum
ventris tui,
nobis, post hoc exsilium, ostende.
O Clemens, o pia, o dulcis Virgo Maria!     

Moltissimi sono i mortali che battendosi il petto  ricorrono alla preghiera, ma sono dentro cariati dalla tabe dell’avere. Che il diavolo se lo divora, secondo una saggezza popolare. Quel diavolo che s’impingua negli infami Istituti di credito.

                                      ***

Lo scrittore Victor Hugo, a parte gli onori e la gloria, visse tra grandi dolori, per la clandestinità,  per l’esilio di 19 anni e per la morte tragica della figlia prediletta Leopoldina, gestante da tre mesi. Era annegata, durante una gita in barca a Villequier, nella Senna, assieme allo sposo. Lo scrittore visse per un decennio inerte, inutile. Poterono, dopo, consolarlo, soprattutto, due liriche,  dal titolo “Leopoldina” e “Io so che tu mi aspetti”. 

                  Rendeva felice la mia sorte,
il mio lavoro agile, il mio cielo blu
Era la fanciulla della mia aurora,
era la mia stella del mattino.

Canterà, fra l’altro, nella prima lirica,  mentre  nella seconda:

               Domani quando albeggia la campagna,
io partirò. Io so che tu  mi aspetti. (…)
e quando arriverò deporrò sulla tua tomba
un bouquet di agrifogli e di erica in fiore.

Victor Hugo e i suoi miserabili. Che erano quelli della sua Francia. Che sono quelli di ovunque e di sempre. E  non sono solamente i poveri senza, sono i maligni di sempre, i senza umanità. Per me umanità ha un sinonimo: eguaglianza; e che sotto v’è una cosa soltanto davanti alla quale dobbiamo inchinarci: il genio; ed una cosa soltanto davanti alla quale dobbiamo inginocchiarci: la bontà.
Lo scrittore  osservava ed educava.

                                ***

La penna, la penna. Che ciascuno porti sempre con sé. In luogo del computer o dello  smartphone.

             Calamus o stilus, penna. Perché quotidiana,
mi pare atto nobile ch’io ti scriva.
Quand’ero obbligato a trattare la terra
che poco fioriva ti volevo lustra
stilografica, simile a quella della maestra…..

             Talvolta, quando la mente s’inquieta
e questo esistere caligini
avviluppa, ti considero
quale strumento magistrale fosti
nella mano eschilea.

La penna. Probabilmente è contemplata in quel indovinello di lingua volgare che si conserva nella antichissima Biblioteca capitolare di Verona e che risale al VIII e all’inizio del IX secolo. Ignoto il suo autore.

Zibaldone, zibaldone

***

Giorgio Gabanizza, che  si è rivelato qualche tempo fa, un buon poeta con una silloge dal titolo Stagioni ritrovate, ha scritto di recente un sorprendente testo poetico sull’indovinello di Verona, della sua Verona. Una fervida fantasia costruisce la storia dell’amanuense. Gabanizza riprende e medita i quattro versi dell’indovinello che dicono:    

                                   “se pareba boves
alba pratalia araba
et albo versorio teneba
et negro semen seminaba”,

E scrive, fra l’altro, riferendosi all’amanuense:

                            Sta pensoso 
a  pulir le mani inchiostrate
con la neve appena caduta,
affacciato al balcone 
dello Scriptorium Veronensis,
austero silente…                            

    La penna. Si pensi a quanto l’adoperò il siciliano Michele  Pantaleone che lottò, subendo processi e un attentato, la mafia. Famosissimo, fra altri suoi, non pochi, il suo Mafia e politica. Si pensi a Carlo Levi, pure pittore, con i suoi libri Cisto si è fermato a Eboli e Le parole sono pietre.

Le parole caustiche della vedova di Sciara Francesca Serio, alla quale la mafia aveva ucciso il figlio sindacalista Salvatore.

                               ***

Francesco d’Assisi cantava il fuoco che illumina la notte cd è robusto e forte. Il fuoco, il fuoco,    applicato dagli incuti pastori, pure per il loro rendiconto, continua a bruciare alberi nelle terre abbandonate, come, ad esempio, in Sicilia e in Calabria e in Sardegna. Di recente sta tanto, tanto bruciando e distruggendo la bella California                                 

                                ***

Gli uomini – Uomini, che  in questo nostro umile Paese debbono tanto apprezzarsi, fra altri, invero, sono Sigfrido Ranucci, Tomaso Montanari e Carlo Rovelli.