(di Gianni Schicchi) Ciò che Sergej Krylov ci ha offerto giovedì sera 30 gennaio, nel nuovo incontro con I Virtuosi Italiani al Teatro Ristori, è ancora un’ampia dimostrazione di grande attitudine per qualunque spartito possa coinvolgere il suo splendido strumento. Attraverso il progetto “Mozart a Verona”, che si sta completando nella sesta edizione, la sua prestazione potrebbe aspirare ad essere riconosciuta come qualcosa di più di una ennesima dimostrazione di talento. Suona infatti anche come gesto di compensazione storico musicale.

Nel piegare alla squisitezza della sua seducente eloquenza violinistica la virilità elegantemente nascosta dei due rari (molto spesso trascurati a favore dei tre successivi) Concerti n° 1 in si bemolle maggiore KV 207 e n° 2 in re maggiore KV 211 – diretti anche da maestro concertatore – il celebre solista compie ancora il miracolo di suggestionare e rapire il nostro udito con un suono morbido e lucente, con un’intonazione impeccabile e l’eleganza del fraseggio che lo rendono interprete ideale delle pagine mozartiane. 

Del Primo Concerto offre un’esecuzione che potremmo anche giudicare tradizionale, pre-filologica, ma di incantevole freschezza espressiva e gusto, come testimoniano anche le fermate e le cadenze composte in perfetto stile da lui stesso (?) per tutti e tre i movimenti. 

Sergej Krylov

La difficoltà di conciliare nelle esecuzioni di Mozart la massima espressività e fantasia con l’imprescindibile equilibrio formale e purezza di linee ha spinto questa volta Krylov a scelte spesso abbastanza prudenti. A differenza di interpretazioni più coraggiosamente orientate verso la ricerca di una spiccata libertà, la sua nuova esecuzione del Ristori evita soluzioni avventurose per andare più sul sicuro, richiamandosi alla tradizione più consolidata. 

Krylov seleziona i tempi con saggezza nel fresco slancio degli Allegri, come nella spaziosa e scorrevole cantabilità degli Andanti e degli Adagi, puntando soprattutto sul logico rapporto tra i movimenti di ogni concerto. Allo stesso modo evita di introdurre nel fraseggio colpi d’arco inusitati ed effetti di colore tesi a caratterizzare e differenziare troppo marcatamente il naturale flusso della melodia, confidando sull’immediata comunicativa di un suono sempre luminoso e rotondo, sostenuto da un vibrato di ammirevole sobrietà. Ể bastato ascoltare, come esempio, la sorvegliata contenutezza che ha regolato l’esecuzione del Rondò finale del Concerto K 211, dove i repentini cambiamenti d’umore vengono uniformati in un tratteggio in punta di penna, di stilizzata eleganza. 

Questo Mozart, all’occorrenza arguto e gioviale, ma senza guizzi di imprevedibile umorismo, oppure dolcemente estatico, ma sempre evitando ogni compiacimento sentimentale, si fa apprezzare comunque in ogni punto anche per il perfetto dialogo che Krylov instaura con I Virtuosi Italiani.

A maggiore ragione quando poi abbandona le vesti di solista, per guidare l’orchestra veronese nel Divertimento n° 3 in fa maggiore d’apertura e nella celebre Serenata notturna in sol maggiore KV 525 a metà della serata, l’ultima serenata portata a termine da Mozart nel 1787. Una piccola musica notturna, quasi una Sinfonia in miniatura che riesce tanto più preziosa quanto più racchiusa in forme e dimensioni ristrette. 

Della musica da intrattenimento, cerimoniosa e festiva (veniva eseguita sempre di sera, nel mese di agosto), scritta tanto spesso per esigenze professionali negli anni di Salisburgo – vi rimangono soltanto alcuni segni estremamente stilizzati nella trasparenza della scrittura e nella perfezione delle forme – Krylov ha voluto esaltare tanto l’Allegretto iniziale, che il breve, unico Minuetto superstite. Meravigliosamente dirette, infine, sia la Romanza in do maggiore che scopre altri orizzonti con la sua cantabilità intima ed affettuosa, appena turbata da una sezione centrale, sia il Rondò che porta l’opera a una conclusione aerea e fantastica, prima ancora che brillante. 

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Merito va anche a I Virtuosi Italiani che ne hanno condiviso le linee con una prestazione accurata e ricca di comunicativa, certamente una prova di grande impegno e disciplina, anche quando si sono inseriti i quattro fiati dove va segnalata la presenza di un grande strumentista come Paolo Pollastri, per oltre trent’anni primo oboe dell’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia. Successo strepitoso della serata, molto partecipata da un plaudente pubblico, che ha accolto l’esecuzione di Krylov con applausi ritmati. Come bis il violinista russo ha concesso una “indiavolata” Partita n° 3 di Bach, quale ulteriore perla che ha impreziosito ancor più la sua prestazione.