(di Bulldog) Adesso che la serie Sky è finita un giudizio lo si può dare su “M, il figlio del secolo” tratto dal lavoro di Antonio Scurati. E l’impressione che lascia ha un sapore agrodolce, di opera incompiuta. La parte dolce. una grandissima regia, un uso sapiente delle luci e un’ambientazione decadente, il giusto mix di effetti speciali ed azione che sono la cifra della scuola del regista Joe Wright classe 1972) e dei suoi sceneggiatori Stefano Bises (Gomorra-La serie, Adagio) e Davide Serino (1992, 1993, The Bad Guy, Qui non è Hollywood ed Esterno notte) che sono anche autori del soggetto, insieme a Scurati. E, indubbiamente, una grande interpretazione degli attori a partire da Luca Marinelli (nonostante il suo stucchevole chiagni-e-fotti sui tormenti nell’interpretare il Fascista).
La parte amara: un grottesco Mussolini-Joker che regna in una Roma-Gotham City è una narrazione che tocca solo la superficie di un periodo storico assai complesso; un Vittorio Emanuele Terzo macchietta e vittima di body shaming scordando che quello non era il Re della fuga a Brindisi, ma quello del Piave, nel pieno del suo potere e del suo consenso popolare; un silenzio di fondo sul biennio rosso e sui problemi di una generazione finita in trincea, tornata con evidenti problemi psicologici e con la tragica consapevolezza che mentre loro marcivano nelle trincee o, peggio, si gettavano giovanissimi in un’orgia di sangue e violenza una larga fetta dei loro coetanei se ne stava bellamente “militarizzata” al caldo nelle fabbriche e nelle campagne a paga piena mentre a reduci e mutilati non veniva garantito nemmeno un posto da stradino…
E ancora, la sensazione viscida che alla fine l’opera non sia sul fondatore del fascismo ma su una visione molto wasp dell’Italia: un Paese immaturo, melodrammatico, straccione, retto da buffoni, incapace di gestirsi, infido, levantino, fannullone. Lo stesso approccio dei “Grandi” alla Conferenza di Parigi del 1919 che videro nell’Italia il parente povero, il brown man del Mediterraneo, quello che certamente non aveva fatto nulla di buono in guerra e che si poteva liquidare con due stracci.
Un approccio che portò poi a conseguenze ben più tragiche ed a milioni di morti appena vent’anni dopo. Ecco, il bravo Joe Wright ci riporta laggiù, alla periferia del loro impero di ipocrite cortesie. Così ci vedranno i milioni di spettatori internazionali che guarderanno la serie e mancheranno degli strumenti per valutare tutto il pacchetto.
E, per inciso, alla fine saranno più i giovani che troveranno simpatico il Duce dopo aver visto la serie Sky di quelli che saranno di parere opposto o che vorranno approfondire lo studio di quel periodo che ha forgiato l’Italia attuale. E questo è il fallimento vero di questa serie Sky: dopo ottant’anni siamo ancora inchiodati al banale…