Quanto vale il sistema Valpolicella-Amarone? 8mila600 ettari di vigneto, 2mila400 aziende, 360 imbottigliatori per 59,3 milioni di bottiglie prodotte nel 2024 (l’11,85 in meno rispetto al 2022): in tutto fanno 6 miliardi di euro, con una crescita del valore fondiario del 133% nell’ultimo quarto di secolo, nonostante una crescita del 65% nei terreni vitati.
Insomma “benessere per tutta la comunità” come sottolinea Christian Marchesini, il presidente del Consorzio tutela della Valpolicella, che sta gestendo con successo una transizione non facile nel mondo del vino. Un mondo dove stanno per uscire di scena i baby boomers, dove i Millenials sono cresciuti a Pinot grigio e Processo, e dove le generazioni ancora più giovani ondeggiano fra superalcolici e no-alcohol e la ricerca di valori forti nel vino che comprano.
«I tre vini della Valpolicella riflettono i differenti gusti lungo tutto l’arco di una vita, e questo è probabilmente un unicum tra le denominazioni italiane. L’Amarone (ma anche il Recioto) per i consumatori maturi, il Ripasso per i millennials, il Valpolicella – un vino contemporaneo che non a caso Milo Manara interpretava con una donna – per i giovani”» sottolinea Marchesini.
Valpolicella, l’Amarone chiude il 2024 a meno 2% ma recupera 9 punti a fine anno
E come risponde il mercato? Per il re della Valpolicella, il 2024 chiude a -2% sull’anno precedente ma con un recupero del 9% nel secondo semestre. Un rimbalzo significativo, se si considerano le difficoltà di quasi tutte le principali denominazioni rosse del pianeta, ma ancora leggero per uscire dalla complessità del periodo. Secondo l’analisi voluta dal Consorzio con l’UIV, il nuovo secolo della denominazione – e del suo vino di punta – deve concentrarsi su una maggior segmentazione, e cioè spesso preparando tre valigie per altrettante destinazioni di mercato diverse, oppure – e in questo caso sempre – individuando target, posizionamenti e toni differenti con cui dialogare.
In particolare, l’Amarone non dovrà snaturare sé stesso ma avere ben chiari i propri obiettivi di posizionamento di vino icona, presso un pubblico principalmente composto da consumatori in età matura e un reddito saldamente superiore ai 100 mila dollari (negli Usa i baby-boomers sono il 40% dei wine drinkers, con gli alto-spendenti che salgono al 53%).
Un identikit che dalla storica roccaforte nordeuropea (cui è riservato il 50% del mercato estero) deve crescere negli Stati Uniti, dove prevale nella East Coast (da NY alla Florida), ma che vale anche in Giappone o in Cina, dove già l’Amarone vanta una quota molto alta sul totale del proprio export (10%). Un target, infine, più di altri incline ad ascoltare il racconto che sta dietro alla produzione dei vini simbolo e – non un fattore secondario – più propenso a viaggiare e a conoscere un territorio di produzione il cui prezioso alleato dovrà essere Verona e il suo brand universale.
“In sintesi – secondo il responsabile dell’Osservatorio Uiv, Carlo Flamini – l’Amarone dovrà proporre al mondo un proprio ‘cocktail’, fatto di aree produttive e diverse vallate, del brand Verona, di stile e coerenza per un metodo atto a divenire esso stesso espressione di territorio”. strutturali e tenori alcolici equilibrati, con punti di colore di grande intensità e profondità.