La sanità italiana è arrivata ad un punto di non ritorno. Nonostante la generale volontà di mantenere l’impostazione universalista del Servizio Sanitario Nazionale e l’impegno degli operatori del sistema che durante la pandemia hanno dato il meglio si sé, la sanità, così com’è stata concepita con la riforma del 1978, non ce la fa più. Lo si constata dall’esperienza quotidiana. Ma lo dicono anche i dati del Ministero della Salute pubblicati sull’Annuario statistico del Servizio Sanitario Nazionale relativo al 2023.

I numeri ufficiali della sanità

Dal 2013 sono stati chiusi 74 ospedali, il 7%. Da 1070 sono diventati 996. Tagliati di  conseguenza 10 mila  posti letto: dai 226.387 nel sono passati a 215.827.
I Centri di Salute mentale da 1.603 sono diventati 1.334.
I medici di famiglia erano 45.203. Sono scesi a 37.983. I pediatri sono calati di 999 unità: sono 6.706. 
I medici della ex Guardia Medica che oggi si chiamano “di continuità assistenziale” da 11.533 sono diventati 10.050 nel 2023.
Unico dato positivo l’Assistenza domiciliare integrata.
Gli assistiti sono passati dai 732.780 del 2013 al 1.645.2342023 del 2023.

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I fattori che pesano sul SSN

Troppe concomitanze negative si sono sommate rendendo praticamente irrisolvibili i problemi connessi all’erogazione dei servizi e all’assistenza dei cittadini.

Il 1° fattore è l’invecchiamento della popolazione, che se è in sé un successo sanitario in cui anche l’assistenza, sommata a stili di vita, genetica e ambiente hanno fatto la loro parte, comporta inevitabilmente un aumento della richiesta di prestazioni rispetto a quando eravamo un paese più giovane.

Il è l’aumentata richiesta di salute da parte dei cittadini rispetto a mezzo secolo fa. Siamo tutti più attenti a quello che succede al nostro corpo e attuiamo tutta una serie di esami preventivi che una volta non si facevano e non esistevano.

Il è costituito dai progressi tecnologici che hanno fatto la medicina e la chirurgia che si avvalgono di metodiche e strumentazioni sempre più avanzate ed anche più costose.

Il è la mancanza del personale, medici e infermieri, causato dall’errata programmazione degli ultimi 2 decenni per la quale nessuno ha pagato.

Il è la carenza delle risorse necessarie per far funzionare il sistema. Il che significa retribuire adeguatamente il personale che c’è rendendo attrattive le professioni sanitarie e frenando così la fuga all’estero e nel privato.

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La combinazione contemporanea di tutti questi fattori fa sì che la crisi del sistema sia praticamente irrisolvibile dato che ogni criticità si collega all’altra come un gatto che si morde la coda.

Il tentativo di riforma in corso cozza con la realtà. 

La realtà

Un esempio. Per risolvere il problema dell’affollamento dei Pronto Soccorso, indegno di un paese civile, e per far fronte all’aumento delle cronicità derivanti dall’invecchiamento della popolazione, s’è giustamente pensato di riformare e potenziare la medicina del territorio. Se infatti i medici di famiglia e la Guardia medica funzionassero si eviterebbe che i Pronto Soccorso fossero oberati di richieste di prestazioni improprie. Perciò vengono istituite le Case e gli Ospedali di Comunità e potenziata l’assistenza domiciliare avvalendosi anche della telemedicina. 

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Nelle Case di Comunità, dotate di un minimo di strumentazione diagnostica, è prevista la presenza di medici e di infermieri che facciano da filtro agli ospedali. Ma dove li trovano i medici da impiegare nella Case di Comunità se dicono che non ce ne sono? Facendovi confluire i medici di medicina generale che costituiscono una rete capillarmente diffusa sul territorio difficilmente sostituibile? E i medici di base sono d’accordo? Pare di no. E quand’anche con un atto d’imperio tutti i 40 mila medici di base venissero obbligati a diventare dipendenti delle Aziende sanitarie locali, cosa che rifiutano per principio, quante Case di Comunità dovrebbero essere costruite?

Nella provincia di Verona ne sono previste una dozzina per poco meno di un milione di abitanti, un numero decisamente insufficiente. E quand’anche lo si volesse fare, quanti anni ci vorrebbero? E intanto?

E questo è solo un aspetto del problema. 

Poi c’è il paradosso della fame in mezzo all’abbondanza. In Italia ci sono più medici della media europea. Ce be sono 410,4 ogni 100.000 abitanti. Però mancano. E’ evidente che si tratta di una disfunzione del sistema.

Infine mancano le risorse. L’Italia spende per la salute dei propri cittadini meno della media europea rispetto al Pil. Medici e infermieri sono pagati meno che all’estero. Per questo scappano. Ci vorrebbe un’iniezione di parecchi miliardi. Ma il bilancio dello stato non lo consente. Anzi, si preferisce destinarli ad altro. 

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Non si può più dare tutto a tutti

La verità è che il sistema non funziona più. E’ stato costruito per la società di 50 anni fa, che non è più quella di oggi. Va ripensato. E, fatto salvo il diritto di chiunque ad essere curato ed assistito, bisogna prendere atto che non è più possibile dare tutto a tutti. E’ necessario passare ad un sistema misto, con una quota di utenza coperta da un sistema assicurativo tutelato dalla Stato, in modo che quei cittadini che oggi sono costretti a pagarsi visite, esami e cure di tasca loro possano fruire di assicurazioni a premi calmierati.  Ma questi sono dettagli da vedere in seguito. Adesso l’urgenza è comprendere che così non si può andare avanti e che la Meloni, che è una donna seria, onesta e anche coraggiosa non può più far finta di niente e deve dirlo agli italiani. Altrimenti il sistema universalista così com’è oggi diventa una truffa.