(di Giulio Bendfeldt) Quanto vale l’1% di Generali? Secondo la capitalizzazione di mercato di questi giorni circa mezzo miliardo, ma con lo scontro tra Mediobanca e la cordata Caltagirone-Delfin per il rinnovo dei vertici nella prossima assemblea dell’8 maggio a Trieste come direbbe il vecchio leader dell’istituto Enrico Cuccia le azioni si pesano, non si contano.

E quindi l’1,2% circa del Leone di Trieste ancora nella cassaforte di una società finanziaria vicentina dal passato illustre, la Ferak, dove sono soci gli imprenditori dell’acciaio Amenduni, il dominus degli aeroporti del Nordest Enrico Marchi, Gianfranco Zoppas e anche quel che resta di Veneto Banca in liquidazione, potrebbe pesare parecchio.

Le forze in campo infatti sono in bilico e non è detto che l’Opa lanciata dal Monte dei Paschi di Siena su Mediobanca, primo azionista di Generali col 13,1%, possa far cambiare gli equilibri prima dell’assemblea della compagnia in maggio. Di sicuro l’operazione di aggiramento messa in piedi da Caltagirone e Francesco Milleri per conto degli eredi di Leonardo del Vecchio riuniti in Delfin è geniale. Per capire la mossa da Risiko bisogna riepilogare le forze in campo (tra stati e carrarmatini).

Francesco Gaetano Caltagirone controlla direttamente il 6,9% circa del Leone (partecipazione da oltre tre miliardi) e una bella fetta anche di Mps (oltre il 5%) e di Mediobanca. Da anni è critico sulla gestione dell’Ad nominato da Mediobanca, Philippe Donnet. L’intesa con Natixis sulla gestione di una parte del portafoglio di risparmio di Generali ha fatto traboccare il vaso e lanciare l’Opa su Mediobanca (di cui il costruttore romano editore di Messaggero, Mattino e Gazzettino controlla già il 9,9%), che ai più appare un passaggio per il suo vero obiettivo: il controllo del Leone assicurativo.

Con lui si è schierato dalla prima ora Milleri, con la Delfin che è al 9,9% di Generali da tempo ed è pronta ad andare al 20% se arrivassero le autorizzazioni delle autorità. Delfin è anche il primo azionista di Mediobanca col 19,8% e in più ha una quota di Mps al 9,78%.

Semplificando, i due primi attori di questa operazione potrebbero spartirsi il bottino se andasse in porto così: Milleri gestisce i destini di Mediobanca, Caltagorine quelli di Generali. Il tutto di comune accordo. Con loro si è schierato il governo di Giorgia Meloni, che col Ministero dell’economia di Giancarlo Giorgetti controlla oltre l’11% di Mps, banca salvata dallo Stato dal fallimento anni fa e ora in salute, ma che secondo il mercato non ci azzecca proprio con Mediobanca malgrado i grandi propositi dei banchieri senesi e le elaborazioni del governo.

Infatti l’Opa viaggia in Borsa ancora a sconto, quindi secondo gli esperti non è conveniente, non produce ricchezza e nuova operatività come invece le due realtà separate. Ma si sa che il vero obiettivo sono le Generali e il rinnovo del prossimo cda. Qui le truppe si stanno già preparando all’assalto finale e sarebbe m molto interessante conoscere le prossime mosse dei Benetton e della loro Edizione, importanti azionisti di Mediobanca col 2,2% e anche di Generali col 4,8%.

Difficile che Alessandro Benetton non si schieri con Caltagirone in queste partite, soprattutto in quella assicurativa. Ma c’è un ma grosso punto interrogativo grande più del 5% di Generali, la strategia di Unicredit, che all’improvviso ha sparigliato le carte annunciando di essere salita oltre quella partecipazione del Leone.

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L’Ad Andrea Orcel predica a tutti che si tratta di una partecipazione finanziaria, ma in pochi gli credono. Sembra soprattutto una mossa per assicurarsi il via libera del governo e dei poteri forti che hanno anche una partecipazione importante di Unicredit sul suo obiettivo più concreto dei molti che ha messo in cantiere: il Banco Bpm (qui sopra l’andamento del titolo BPM a cinque anni) . Insomma, il 5% (che potrebbe salire al 10%) come pedina di scambio per ottenere il via libera al colpo di fusione che il governo – per bocca del viceministro Matteo Salvini e il ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti – non vedeva con favore sventolando l’ipotesi di sbarrare la scalata col golden power.

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Come si vede, in questo risiko bancario tutto si tiene ed è incrociato, allora quindi è interessante anche buttare un occhio su quell’1% circa di Generali rimasto nella cassaforte di Ferak, il “tesoretto” rimasto di un tempo glorioso quando il “salottino buono” della finanza del Nordest puntava in alto alleato con la Fondazione Crt, arrivando a controllare una quota importante del Leone, circa il 2% e un posto in cda, schierandosi più o meno apertamente con l’allora Ad Giovanni Perissinotto, guarda a caso oggi diventato vice presidente di Banca Finint, l’istituto trevigiano guarda a caso di Marchi (nella foto qui sopra).

Bei tempi andati, Perissinotto fu giubilato da Leonardo Del Vecchio e Caltagirone nel 2012 e si è riciclato dalle parti di Conegliano, e oggi invece nel “salottino” il clima non sarebbe dei migliori. Gli Amenduni delle Acciaierie Valbruna, azionisti di riferimento col 70% della finanziaria che avrebbe in portafoglio l’1,2% di Generali, hanno fatto un’offerta per comprare le quote degli altri soci, senza grande successo.

Con gli Zoppas si litigherebbe, mentre Marchi (che avrebbe circa il 12% di Ferak tramite la Sviluppo 56) nicchia e i 50 milioni offerti per il 9% in mano alla liquidazione di Veneto Banca sarebbero rimasti senza risposta, anto che in gennaio un’interrogazione in Parlamento dell’onorevole Valentina Grippo, eletta in Veneto nelle fila di Azione, il mini partito di Carlo Calenda, ha cercato di scoperchiare il “vasetto” di Pandora, chiedendo di capire perché i liquidatori della ex Popolare crollata nel 2017, che devono rispondere del loro operato al Ministero, non avessero colto al volo l’occasione di incassare una bella cifra per pagare un passivo che si allarga ogni giorno di più.

Un altro dettaglio rende la questione ancora più singolare: Ferak, tramite la controllata Effeti, avrebbe rilevato un pacchetto di azioni di Mediobanca pari a circa lo 0,15%. Una mossa dal grande fiuto che piazza il “salottino” al centro dei giochi finanziari più importanti del Paese e promette a chi controlla la società che un tempo era gestita da Roberto Meneguzzo con la Palladio Finanziaria lauti guadagni e un ritorno nelle stanze che contano dopo anni grigi.