I medici dipendenti del Servizio sanitario nazionale pagano ogni anno 4 miliardi di euro di IRPEF, tenendo in considerazione esclusivamente i redditi da dipendenti e dalla libera professione intramoenia, ed escludendo quindi eventuali prestazioni eseguite in studi o in cliniche private.
La categoria dunque, pur rappresentando lo 0,2% dei contribuenti italiani, versa il 2% dell’intero ammontare IRPEF. Dei 9,2 miliardi che rappresentano il totale delle retribuzioni dei camici bianchi, quasi la metà è in qualche modo autofinanziata tramite le proprie tasse, mentre ciascun cittadino italiano contribuisce con 43 centesimi al giorno al pagamento degli stipendi dei medici.
E poi si chiedono perché i medici pagati poco scappano
Se, allora, hanno le retribuzioni lorde tra le più basse d’Europa, sono anche tra quelli che in percentuale pagano più tasse. È l’OCSE che ci fornisce i numeri: in media uno specialista italiano nel 2021 guadagnava 78mila euro lordi a fronte dei 91mila dei medici francesi, dei 117mila dei belgi, dei 148mila dei tedeschi, dei 163mila degli olandesi fino ai 174mila degli irlandesi. Al contempo, ancora secondo l’OCSE, in Italia la pressione fiscale è pari al 42,6% (anche se per i medici aumenta fino al 46,36%), la terza più alta tra i Paesi OCSE, preceduta solo da Francia (43,8%) e Danimarca (43,4%). Le retribuzioni nette, quindi, sono di gran lunga inferiori rispetto a quanto percepito in altri Paesi europei, che attrarranno sempre di più i nostri medici.
«Se c’è la reale volontà di trattenere in Italia i medici, è necessario aumentarne le retribuzioni – commenta Guido Quici, Presidente del sindacato dei medici Federazione CIMO-FESMED, a cui aderiscono le sigle ANPO, ASCOTI, CIMO, CIMOP e FESMED -. E se non è possibile aumentare considerevolmente gli stipendi poiché devono essere allineati a quelli degli altri dirigenti della Pubblica Amministrazione, occorre intervenire prevedendo delle agevolazioni fiscali. Chiediamo quindi ancora una volta un segnale importante per i colleghi che sono già pronti a trasferirsi in Paesi dove il loro ruolo e la loro professionalità sono maggiormente valorizzati».