(di Gianni Schicchi) Ể un amore per Verona che dura ormai da oltre quarant’anni! Da quando nel 1984 portò per la prima volta i suoi Coro ed Orchestra Amsterdam Baroque a San Fermo maggiore per un trionfale Messiah di Händel. Il grande clavicembalista e organista olandese Ton Koopman è tornato ora a Verona (si fa per dire perché dalla città scaligera non si è mai allontanato, avendo qui un recapito e il suo agente) per eseguire i sei Concerti Brandeburghesi di Bach, nell’ambito del Festival Baroque al Teatro Ristori, uno scrigno di tesori antichi di oltre tre secoli che hanno ancora tanto da raccontare agli ascoltatori di oggi.
Ton Koopman è considerato oggi una vera leggenda vivente della musica barocca e quando lo si ascolta parlare della musica di Bach è difficile non farsi contagiare dall’entusiasmo di un maestro che ha forgiato il suo stile esecutivo sulla prassi filologica del repertorio barocco. Ể impossibile non rimanere incantati quando questa musica la dirige dal podio dell’Amsterdam Baroque Orchestra, che ha fondato nel 1979 per approfondire quell’epoca con i più preziosi strumenti antichi esistenti in Europa.
Il numero di esecuzioni (e di incisioni discografiche) dei Concerti Brandeburghesi è enorme, secondo solo a quello delle Quattro Stagioni di Vivaldi, ma destinato a crescere, data l’importanza di una raccolta che ha visto aumentare in modo esponenziale anche le ricerche in ambito musicologico riguardante in particolare l’origine dei sei Concerti. In effetti, nonostante la dedica al Margravio di Brandeburgo, secondo la quale il nobile personaggio incontrato a Berlino avrebbe chiesto al compositore una raccolta di opere in stile concertante, non è del tutto chiaro se il musicista compose questi Concerti ex novo o se fece ricorso invece a creazioni già realizzate in precedenza.
Secondo alcuni studiosi quest’ultima ipotesi sarebbe la più credibile, così come risulterebbe probabile che la loro concezione e strumentazione fosse stata in qualche maniera legata alle attività musicali della celebre orchestra di Dresda, dove svolgeva le mansioni di Kapellmeister David Johann Heinichen, i cui concerti per fiati e archi avrebbero potuto influire sull’impostazione di quelli bachiani.
Per venire alla osannata esecuzione di Koopman e dei suoi (Ristori sold out da giorni), va detto subito dell’ottimo livello raggiunto, per un approccio stilisticamente aggiornato, dovuto ad un gruppo di strumentisti agguerriti e di sicuro valore. Ogni Concerto è stato così restituito al suo peculiare splendore timbrico, alla sua concezione virtuosistica e alla sua compiuta sintesi stilistica, nell’ambito di una condotta agogica sostanzialmente oculata, anche se particolarmente energica ed assertiva, grazie ad una scelta dei tempi condivisibile. Molto efficace la prova fornita dai fiati (flauti dolci e traversi), dal suono pieno e omogeneo. Non meno riuscita la prova dei corni e della tromba naturale (Concerti 1 e 2), molto precisi nell’intonazione, anche nei passaggi più brillanti e timbricamente molto luminosi.
Certo i Brandeburghesi sono una montagna monumentale, da scalare con avvedutezza, equilibrio, lasciandosi inebriare dall’horror vacui bachiano che riempie ogni spazio, dove ad ogni voce che si ferma ne corrisponde un’altra che viene opportunamente a riempire il vuoto. Il discorso che ne consegue è sempre unitario, come se si trattasse di un’unica caleidoscopica voce multicolore.
Anche il gruppo degli archi olandesi è risultato molto compatto, offrendo per esempio del Concerto n° 3, una versione energica e trascinante, sebbene non eccedente nelle scelte agogiche. Più discutibile forse la resa dell’ampia cadenza clavicembalista del Concerto n° 5, affrontata da Koopman con grande libertà e con frequenti ricorsi a passaggi improvvisati, a rallentamenti alternati a improvvise accelerazioni, che non hanno limitato tuttavia la necessaria fluidità e naturalezza dell’eloquio. Tratti distintivi dell’esecuzione sono stati comunque: l’eleganza, l’equilibrio complessivo, la decantata sobrietà, come si confà ad un monumento sonoro che ha attraversato i secoli senza che scemasse la sua carica di mistero e di straordinarietà. Serata di alto consenso che il pubblico ha sottolineato con sonori e prolungati applausi.