Nel 2024 in Italia sono stati eseguiti 2,2 milioni di impianti dentali per una spesa di 2,3 miliardi di euro.
Questa tecnica ha in gran parte sostituito gli altri tipi di protesi dentaria, fissa e mobile, cui si ricorreva quando ancora l’implantologia non era entrata a far parte della pratica odontoiatrica. Il ricorso agli impianti per sostituire i denti naturali persi per estrazioni dovute da diverse patologie è in continuo aumento. Dal 2019 al 2024 è aumentata del 20%. Dati emersi dal Congresso Internazionale, della Società Italiana di Parodontologia e Implantologia che si è tenuto negli scorsi giorni a Rimini.

Impianti endossei. Soluzione protesica consolidata

Nel 2024 in Italia eseguiti 2 milioni di impianti dentali

Quella degli impianti endossei è una metodica ormai consolidata e priva di rischi se correttamente eseguita dopo un’accurata progettazione basata con Rx o Tac 3D. Ma molte volte può accadere, se ciò non avviene, che specie in pazienti con parodontopatie o condizioni anatomiche sfavorevoli, l’impianto sia seguito da una retrazione gengivale che produce degli inestetismi, specie nei settori anteriori. 

E’ quindi necessario che prima venga fatta dal medico una corretta valutazione dello spessore dei tessuti, dell’osso e dell’occlusione delle arcate dentali.

Se un impianto è posizionato male aumenta di 14 volte il rischio di avere poi un sorriso che espone il raccordo fra la corona protesica e la testa dell’impianto stesso.

Nel 2024 in Italia eseguiti 2 milioni di impianti dentali

L’idea di farsi inserire l’impianto nelle ossa della mandibola o del mascellare costituisce ancora per molti una remora nel ricorrere a questa metodica protesica. Va però precisato che se il dentista segue scrupolosamente tutte le procedure ed utilizza materiali certificati ed idonei, non c’è più alcun motivo di temere né il dolore né, tanto meno, quello che molti chiamano “rigetto” ma che in realtà è solo la mancata integrazione biologica.  

I problemi maggiori permangono per i pazienti affetti da certe patologie e per i fumatori, che hanno una percentuale di fallimento della bio-integrazione maggiore rispetto a chi non fuma.