(di Angelo Paratico) Pop Vicenza: la Corte di Cassazione, intorno alle 23.30 di martedì 8 aprile, ha messo la parola fine a 10 anni dal crac della Banca Popolare vicentina. L’ora tarda mostra come sia esistito un forte dibattito fra colpevolisti e innocentisti all’interno dell’Alta Corte. Gianni Zonin ha ottenuto un ulteriore sconto di pena rispetto al processo d’appello, dove era stato condannato a 3 anni e 11 mesi, dimezzata rispetto a quella di primo grado che era stata di 6 anni e 6 mesi. La pena definitiva è dunque di 3 anni e 5 mesi.
Sconti anche per gli altri imputati: stessa pena dell’ex presidente all’ex vice dg Andrea Piazzetta. Riduzione di 108 giorni anche per la condanna all’altro ex vice dg, Emanuele Giustini. Per Paolo Marin, altro ex vice della Popolare, lo sconto di pena dovrà essere calcolato dalla Corte d’Appello limitatamente a uno dei capi d’imputazione, per non aver commesso il fatto. Gli imputati, a vario titolo, erano accusati di aggiotaggio, ostacolo agli organismi di vigilanza e falso in prospetto.
Si può dunque valutare che è stato il vasto clamore mediatico contro Zonin, ex Presidente della Popolare di Vicenza, a impedire una piena assoluzione, come a nostro modesto parere si sarebbe dovuto fare. Perché i veri colpevoli di questo fallimento sono altri e ora possiamo dire che l’hanno franca. Alla sbarra si sarebbero dovuti portare certi funzionari della BCE della UE, in particolare due donne poco versate in economia e, forse, anche l’ex presidente del Consiglio italiano Matteo Renzi e l’ex ministro delle Finanze Pier Carlo Padoan.
POP VICENZA, PENA ANCORA RIDOTTA PER ZONIN
Una nota di forte biasimo – più politica che giudiziaria – andrebbe poi inviata al presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, poco esperto di materie finanziarie, per aver permesso che sfilassero all’economia veneta di tasca due gioielli di banche, con più di 150 anni di storia, quali furono la Popolare Vicenza e la Veneto Banca.
Zaia avrebbe dovuto picchiare i pugni sul tavolo. Fosse successo a un presidente di un Land tedesco, in condizioni simili, con qualcuna delle sue Genossenschaftsbanken (le nostre banche cooperative), gli urli li avrebbero sentiti sino a Berlino. Il Veneto ha pagato un prezzo altissimo perdendo nel giro di pochi mesi due ottime banche, includendo anche la Veneto Banca di Vincenzo Consoli, mentre il Monte dei Paschi e Banca Etruria, messe peggio delle due venete, sono state salvate.
Non è facile condensare tanti argomenti nello spazio di un solo articolo per sostenere la nostra tesi, ma citeremo solo alcuni fatti principali. A chi voglia saperne di più consigliamo un libro uscito nell’aprile del 2019 a Udine e intitolato Romanzo imPopolare, di Cristiano Gatti e Ario Gervasutti, che racconta con precisione tutti i passaggi fondamentali di questo dramma.
Gli attacchi mediatici contro le due banche venete si possono definire vergognosi e immotivati o, forse, motivati da certe losche figure che scommettevano sulla loro morte. In ciò si sono distinti alcuni giornali che hanno pubblicato paginate di pettegolezzi e di dati errati, invece di difendere un gioiello dell’economia locale. Ricordiamo il letame scaricato davanti a casa di Zonin, il ristorante di Verona in cui gli avventori hanno preteso l’allontanamento di Zonin e di sua moglie, l’articolo che mostrava i coniugi Zonin a far spese in Montenapoleone, a Milano, mentre in realtà proprio in quella ha lo studio via l’urologo di Zonin che lo aveva in cura per la prostata.
Nessuna banca, per quanto solida come fu sino alla fine la Popolare di Vicenza, avrebbe potuto reggere a lungo quello tsunami di false notizie e di sterco. I numeri dicono che, sino all’epilogo, la Banca Popolare di Vicenza ha mantenuto livelli di solvibilità altissima e disponeva di personale affidabile ed efficiente.
Si fece un gran parlare della “baciate”, un tipo di finanziamento da sempre adottato dalle banche popolari, sia pur con la dovuta cautela e rispettando le regole. Nel caso della Popolare di Vicenza, effettivamente, esagerarono con questo strumento, prendendo dei grossi azzardi per via delle feroci pressioni della BCE a ricapitalizzare. Fu comunque di qualcosa di relativamente limitato: parliamo di 130 milioni spalmati su 1930 soci, che senza gli interventi della BCE (che nulla conoscevano degli statuti delle banche popolari, vera spina dorsale dell’industria italiana negli ultimi 150 anni) sarebbero stati assorbiti.
La bomba atomica sulle banche venete fu lanciata da Matteo Renzi il 20 gennaio 2015, quando in un Consiglio dei ministri inserì fra le “varie ed eventuali” e senza nessuna preliminare discussione, che le banche popolari erano obbligate a quotarsi in Borsa nel giro di 18 mesi. Ma non tutte: solo quelle con un patrimonio superiore a otto miliardi. Si trattò di un’azione mirata, perché queste banche popolari erano solo tre: Popolare di Vicenza, Veneto Banca e Popolare di Bari. Per la cronaca, l’ultima ancora esiste, perché se ne infischiò del decreto di Renzi, che fu comunque annullato due anni dopo.
Cancellarono anche il voto capitario, colonna portante delle banche popolari, dove uno vale uno indipendentemente dal numero di azioni che detiene. In Italia nessuno ci fece caso, tranne chi se ne intende, come l’economista Stefano Zamagni, il quale scrisse: “A me pare che esista un preciso disegno che punta a eliminare le popolari, non in maniera diretta ma esasperando il rispetto di regole troppo pesanti”. E aggiunse Marco Vitale, un altro economista di valore: “Le pressioni, unite alla tradizionale mancanza di coraggio degli intellettuali italiani, chiusero rapidamente la partita e tutti, o quasi tutti, si ritirarono zitti, in buon ordine nel loro banco. Einaudi, Menichella, Mattioli, Baffi si rivoltano nella tomba”.
Nulla da fare: i panzer della BCE si trovarono la strada spianata per distruggere le due venete. Arrivò una lettera di Daniéle Nouy, una ex bancaria laureata in scienze politiche e in legge, ora in pensione, che si trovò a capo della vigilanza della BCE. La signora decise di cambiare i parametri degli accantonamenti e dunque il bilancio della banca che era stato chiuso alla fine del 2014 passò da un surplus di 350 milioni a una perdita di 757 milioni.
MAI EMERSE LE ALTRE RESPONSABILITà DEL CRAC
Qualche mese dopo, sempre la Nouy insisterà per il fallimento della Popolare di Vicenza. Senza alcun motivo logico apparente: s’impuntò e basta, forse fu per via del tradizionale disprezzo per gli italiani che, come i greci, vanno sempre messi in riga. Voleva lo scalpo della banca di Vicenza e furono costretti a fare intervenire il vicepresidente della Banca d’Italia per farle cambiare idea. L’altra funesta dama responsabile del disastro, anche se in misura minore, è Margrethe Vestager, della sinistra radicale danese, dal 2014 all’anno scorso Commissario europeo per la concorrenza e vicepresidente, oggi anche lei felicemente pensionata.
Da quel momento sarà la BCE, tramite il suo rappresentante in Italia Emanuele Gatti, a teleguidare la banca. Addirittura Gatti si spinse avanti al punto di passare a Zonin un foglietto con scribacchiati sopra tre nomi per indicare il nuovo amministratore delegato in sostituzione di Samuele Sorato, da poco condannato con una pena dimezzata ma da molti considerato una pedina innocente, mandato a casa per quietare la BCE. Che quel funzionario basato a Milano, laureato in giurisprudenza presso l’Università di Bari, ex Banca d’Italia dal marzo 1992, avesse deciso con un foglietto chi è gradito o sgradito alla BCE avrebbe dovuto essere, questo sì, oggetto d’indagine giudiziaria.
Dal foglietto Gianni Zonin pescò uno di questi “graditi” alla BCE, tal Francesco Iorio, a parere di molti una pessima scelta. Proveniva dalla Popolare di Bergamo, laureato in giurisprudenza, con un corso trimestrale in economia bancaria: e guadagnò cifre spropositate per il suo intervento, tutto sommato inutile e forse addirittura dannoso. Il Corriere della Sera stimò che durante la sua permanenza, includendo bonus in entrata e in uscita, guadagnò circa 20 mila euro al giorno.
Chi ha perso soldi andrebbe pienamente risarcito dalla Banca d’Italia, che si mostrò impotente davanti alle prepotenze della BCE e dai loro giannizzeri calati da nord. E parallelamente la Banca d’Italia dovrebbe poi chiedere un rimborso ai funzionari della BCE, per via della loro evidente mala gestio in occasione dell’epilogo di queste due gloriose banche ora defunte.