Sette serate di tutto esaurito con 3136 spettatori,un grande feeling tra vecchi e nuovi protagonisti, la ficcante satira politica e la capacità di adattamento a una location tutta da scoprire con poco tempo a disposizione per le prove. Con questi ingredienti la Fondazione Compagnia Aurora ha festeggiato alla grande il suo ritorno a Villafranca. Un bilancio estremamente positivo. Un ritorno in condizioni non facili ma le difficoltà legate alla struttura non ancora a posto sono state superate di slancio. Cosicché la lunga storia della compagnia e di Villafranca si è snodata senza retorica e con grandi risate, con un melanconico intermezzo dedicato alla chiusura del teatro Verdi. Che l’Aurora sia sempre stata un’entità a sé nel panorama artistico villafranchese, del resto, non si scopre oggi. Una “famiglia allargata“ che riesce a rigenerarsi di continuo: perde qualche componente ma ne acquisisce di sempre nuovi e alla fine il risultato è il divertimento di chi assiste allo spettacolo ma anche di chi lo costruisce e lo traduce sul palcoscenico. Quest’anno ecco le solite conferme di Mariano Melchiori (don Egidio), un “animale“ da palcoscenico, Filippo Menditto e Andrea Raule (gemelle Kessler, perché agli inizi le donne non erano ammesse a recitare, e poi i moderni Emo), Giancarlo Bellesini (nelle vesti del padre Benvenuto componente del Quartetto Aurora, insieme a Vanni Raule, Luigi Basso e Renzo Massagrande). Quest’ultimi ruoli sono stati coraggiosamente affidati dal regista Gianni Piazzi a giovani leve come Emanuele Zoccatelli, Andrea Dossi e Filippo Marchi, così come il futuro sindaco Arnaldo Brunetto è stato interpretato da Matteo Piva. E poi altri personaggi come la suora (Monica Piazzi) preoccupatissima che la rivista, ospitata nel teatrino delle Canossiane, non sia troppo spinta, la Maria Parlapoco (Laura Murari) esempio dei villafranchesi di tante parole ma magari di meno fatti rispetto ai valeggiani, o il ritorno dei gemelli Valieri, con la classica scenetta del regista colto (Massimo) che deve fare un provino allo “stupidotto“ del paese (Davide) arrivato lì solo grazie alla conoscenza dell’assessora alla cultura.
Ma senza nulla togliere ad alcuno, il botto l’ha fatto il ritorno della satira politica. Frecciate clamorose ma sempre col sorriso. Lo stesso suscitato negli spettatori. Il sindaco Mario Faccioli è stato prima presentato con le caratteristiche attuali ai tempi dell’asilo (Giancarlo Bellesini). Urla disperato quando sente o vede rosso e si calma solo quando la mamma (Chiara Rigo) fa suonare il carillon di Facetta Nera. Va d’accordo con gli altri bambini, basta che parli solo lui. E ne ha due particolarmente vicini: l’amichetta del cuore Maria Cordioli e il bel bambino Roberto Dall’Oca (entrambi assessori). Addirittura esilarante il finale con ancora il primo cittadino (Gian Melchiori) che è riuscito a strappare applausi e risate a crepapelle mettendone alla berlina le attitudini “dittatoriali“ nell’intervista di Filippo Menditto, per l’occasione improvvisatosi giornalista. Così ecco Supermario affermare che il teatro l’ha fatto lui (voleva anche intitolarselo ma temeva la strumentalizzazione delle opposizioni) mattone su mattone di giorno, mentre di notte andava ad annaffiare ogni ciuffo d’erba del Castello. Se nessuno gli dà merito e tutta colpa dei giornalisti “prezzolati“ che invece i meriti li danno a progettisti, ingegneri, maestranze. Per la minoranza e la sua maggioranza non c’è pietà: sono “personaggetti“ senza alcun valore che dopo le solite 8-9 ore di monologo in consiglio comunale non gli tributano nemmeno un applauso o un hip-hip hurrà. Infine i suoi metodi “democratici“: mazza da baseball e olio di ricino. E alle prossime elezioni nuovo metodo: tutti chiusi in casa mentre lui andrà di persona a votare facendole veci di tutti i cittadini. Alla prossima.

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