(di Bulldog) Ayrton Senna, trent’anni fa, a Imola perdeva la vita durante il Gran Premio d’Italia. Enzo Ferrari li chiamava i “cavalieri del rischio” perchè un pilota doveva mettere in conto l’alta probabilità di non finire indenne una corsa. Una visione “romantica“, ma soprattutto un modo per separarsi dal trauma di perdite umane che avevano un impatto enorme sull’opinione pubblica: gli incidenti di De Portago alla Mille Miglia, quello di Ignazio Giunti a Buenos Aires o quella di Lorenzo Bandini a Montecarlo (tutti su vetture Ferrari) avevano suscitato dolore e tantissime polemiche.

Emozioni così forti l’opinione pubblica italiana – anche quella non così interessata alle corse motoristiche – le ritrovò un tremendo weekend di trent’anni fa a Imola. E trent’anni fa, a Padova, alla sede delle biciclette Campagnolo incontrai Ayrton Senna, il pilota che doveva passare in Ferrari da lì a poco e che era sempre più legato all’Italia da cui proveniva parte della sua famiglia.

Ed era semplice trovare un terreno comune con Senna: la facilità della lingua, l’empatia umana, la voglia di stare in mezzo alla gente (trent’anni fa non c’erano i bodyguard o gli assillanti uffici stampa odierni), di condividere una passione. L’intervista, non a caso, avvenne in un vero casino, con persone che si infilavano sotto il microfono, che cercavano un contatto fisico, la possibilità di scambiare una battuta… fra i tanti una ragazza che riuscì a superare il muro di giornalisti e telecamere e offrì ad Ayrton un braccialettino di corda colorata coi colori della Ouroverde, il verde oro della bandiera brasiliana. “E’ per te, che ti porta fortuna” disse al pilota il cui sguardo immediatamente si fece più scuro, la voce balbettante, i tratti del volto più taglienti. “No, no – rispose con improvvisa urgenza Senna – ti ringrazio, ma non porto queste cose, tienilo tu per me” e scappò via lasciando giornalisti e torcida al proprio destino.

Gli stavo chiedendo se sarebbe passato in Ferrari a fine stagione come tutta Italia voleva, mi rispose a malapena “Vediamo, non so ancora, forse…

Da quel weekend, l’immagine di quella ragazza, di quel braccialetto verderoro mi torna in mente ogni volta che si parla di Ayrton Senna, di quello che ha realizzato e di quello che avrebbe potuto fare con la Rossa. E mi viene sempre da chiedermi se per lui sarebbe stato meglio accettare quel dono oppure se quel dono mancato abbia avuto una qualche responsabilità…Per anni non sono più riuscito a guardare un Gran Premio, dopo Senna aveva poco senso. Almeno per me.