Export, qualità, sostenibilità, diversità e aggregazione: sono queste le cinque key words, gli asset che hanno garantito al mondo del vino italiano di rappresentare una delle eccezioni positive di fronte alla crisi globale che ancora non vuole smettere di mordere. Elementi che continueranno a sostenere il Bel Paese in bottiglia anche nel 2013 e, anzi, potranno fornire ulteriori margini di crescita e sviluppo. Cinque espressioni della vivacità di un comparto che sarà protagonista a Vinitaly, la rassegna internazionale di riferimento del settore, di scena a Verona dal 7 al 10 aprile (www.vinitaly.com).
Il vino italiano, infatti, anche nel 2012 si conferma come uno dei comparti più affidabili e in salute, almeno da questo punto di vista. Il valore delle esportazioni delle etichette nazionali raggiunge i 4,7 miliardi di euro (segnando un nuovo record), in crescita del 7% sul 2011 (dati Istat), a fronte, però, di un calo dei volumi del 9% (intorno ai 21,4 milioni di ettolitri). Uno scenario decisamente positivo considerando la posizione delle nostre etichette nel 2007, cioè prima della crisi, quando l’export valeva 3,4 miliardi di euro per 18,7 milioni di ettolitri a volume.
Se l’export tira come non mai, il merito va, soprattutto, anche se non sempre questa voce è adeguatamente ricordata, alla qualità. Ormai il mondo del vino è abituato a considerare il livello qualitativo delle etichette italiane ben attestato su livelli più che soddisfacenti e quasi dimentica che questa acquisita sicurezza organolettica è prima di tutto una delle caratteristiche più importanti dei vini del Bel Paese
La voce che forse va più di moda, anche se a ben guardare non si tratta di una tendenza momentanea ma di un preciso cambio di paradigma produttivo e culturale, è la sostenibilità. Un aspetto di grande importanza, specie per la sensibilità di chi il vino lo consuma, e che i produttori italiani stanno sempre più accrescendo nelle proprie aziende: una “voglia” di attenzione ambientale, di cura nei processi produttivi che sta sempre più interessando il comparto vitivinicolo.
La sostenibilità economica, peraltro, è necessaria per mantenere un altro caposaldo del comparto vitivinicolo tricolore: la diversità. L’Italia del vino non è soltanto un numero importante di Doc e Docg (rispettivamente 330 e 73 più 118 Igt), ma anche un vero e proprio insieme di territori di straordinaria bellezza e dalle caratteristiche così varie e variabili, tanto da costituire un vero e proprio giacimento a cielo aperto di grande fascino per chi viene a visitarlo (il fenomeno dell’enoturismo continua a dare buoni risultati, +12% nel 2012 sul 2011, secondo i dati dell’Osservatorio Città del Vino/Censis) e, soprattutto, in grado di diversificare la proposta enoica italiana. Un valore aggiunto unico al mondo che continuerà a suscitare curiosità e interesse, .
Da ultimo, ma non per importanza, c’è la sempre più crescente tendenza all’aggregazione. Non solo grazie all’attività sempre più puntuale dei Consorzi di tutela, forniti di nuovi strumenti dalla legge 61/2010, ma anche quella che riguarda direttamente le aziende produttrici. Si va dalla semplice unione di varie aziende attorno ad un unico manager incaricato di raggiungere i mercati più lontani, per snellire logistica e costi, ma anche per portare in giro per il mondo un’offerta il più possibile capace di restituire la varietà delle etichette italiane, alle vere e proprie fusioni aziendali, anche di realtà importanti, per ottenere una massa critica maggiore e consolidare all’estero le posizioni conquistate, favorendo le aziende più piccole, a loro volta trainate dalla capacità commerciale delle realtà più grandi.