(di Davide Battisti *) Poco più di un mese fa leggevamo, con non poco smarrimento, l’ordinanza con la quale il GIP di Verona, esaminata l’istanza presentata dal difensore, osservava, in apertura del provvedimento, che Federico Tomaselli, sottoposto agli arresti domiciliari, nel negare di essersi reso responsabile delle gravi accuse a suo carico, aveva tenuto “una linea difensiva che – conviene sottolinearlo – ha rappresentato un vero e proprio leit motiv portato avanti da tutti gli indagati … evidentemente nella perdurante convinzione che la propria veste di poliziotti, di per sé, debba portare a ritenere maggiormente credibili le proprie parole rispetto a quelle delle persone offese”.
Oggi prendiamo atto che il medesimo GIP, dando finalmente seguito alla corrispondente indicazione dei P.M. che procedono, ha radicalmente mutato il proprio orientamento, concedendo la revoca della misura cautelare, disponendo al contempo anche il non luogo a provvedere sull’istanza interdittiva nei confronti di un altro indagato.
Violenze, la parola di un poliziotto vale meno di quella di chi denuncia
Un revirement che, da quanto par di capire, deriverebbe dagli esiti di una consulenza tecnica che avrebbe confermato la genuinità dei file video già prodotti, da tempo, dalla difesa, dimostrando irrefutabilmente che Tomaselli non era in Questura quando sarebbero state perpetrate le denunciate violenze.
Un cambio di prospettiva che, sicuramente per mera casualità, è avvenuto appena il giorno prima che il riesame della misura cautelare, proposto dal difensore di Tomaselli, venisse trattato dal competente collegio.
Siamo quindi, ovviamente, lieti dell’emersione di una verità che restituisce ai due colleghi di cui si occupa questa ordinanza un significativo ridimensionamento delle scabrose condotte che erano state loro attribuite.
Un risultato dovuto anche alla tenacia ed alla professionalità dell’avvocato Stefano Casali, che ringraziamo anche per le parole di vicinanza dedicate all’intera comunità dei lavoratori della Polizia di Stato. E dato l’altrettanto encomiabile impegno profuso dai difensori di tutti gli altri indagati confidiamo che la soddisfazione che siamo oggi ad esprimere non sia destinata a rimanere un caso isolato.
Non possiamo tuttavia evitare di indugiare in riflessioni che suscitano in noi profonda amarezza e serie perplessità. Perché tra le righe dei vari provvedimenti che hanno scandito le fasi di questa indagine, e in particolare nel passaggio richiamato in apertura – a tacere delle discutibili considerazioni critiche circa la linea comune di difesa tenuta dagli indagati, quasi che il negare le accuse debba essere interpretato come un atto di arroganza da parte di quest’ultimi – a noi pare di cogliere una preoccupante prospettiva.
Quella cioè secondo la quale la versione di un poliziotto che rivendica la sua innocenza, diversamente di quella di chi lo accusa, diviene credibile solo quando è assistita da elementi di prova, che per giunta debbono essere rinforzati da un asseveramento peritale. Ci auguriamo si tratti di nulla più che di una nostra impressione, perché se così non fosse si darebbe accesso ad un dirompente sconvolgimento che, alimentando il pre-giudizio nei confronti degli operatori delle forze dell’ordine, finirebbe con il far vacillare l’imprescindibile autorevolezza delle istituzioni che essi, come punte avanzate dello Stato, rappresentano e tutelano.
(* Segretario generale del SIULP di Verona)