(di Stefano Cucco) Nel 170° anniversario dei Martiri di Belfiore domani, giovedì 5 ottobre alle ore 17,30 nella Sala Montanari della Società Letteraria di piazzetta Scalette Rubiani a Verona si tiene il convegno “La congiura di Belfiore del 1853”.
I relatori sono Marco Chinaglia che relaziona su “Il ruolo del clero Lombardo-Veneto” e Federico Melotto che affronta il tema “Le figure di Verona e Legnago”. Presiede Silvio Pozzani. Introduce Daniela Brunelli, presidente della Società Letteraria di Verona. Martiri di Belfiore fu il nome dato al primo gruppo di patrioti italiani condannati a morte per impiccagione a Matova tra il 1852 e il 1855, in pieno Risorgimento, per ordine del governatore generale del Lombardo-Veneto, il feldmaresciallo Josef Radetzky.
Prendono il nome dalla valletta di Belfiore, località all’entrata occidentale di Mantova, dove almeno undici delle sentenze di morte furono eseguite. Esse rappresentarono il culmine della repressione austriaca seguita alla Prima Guerra d’Indipendenza e segnarono il conseguente fallimento di ogni politica di riappacificazione. Soffocati i moti e vinta la guerra del ’48-’49, l’Austria era ben decisa a scoraggiare qualsiasi tentativo d’autonomia.
Il cancelliere dell’Impero, Felice di Schwartanberg succeduto al Metternich, era convinto che per tenere sotto controllo il Lombardo Veneto c’era bisogno di qualche “salutare impiccagione”. In un anno vennero eseguite 961 condanne a morte e numerose pene corporali. Le autorità imponevano, inoltre, pesantissimi tributi per evitare le sottoscrizioni a favore di organizzazioni clandestine. Di fronte ad una reazione così dura, era inevitabile che si sviluppasse un movimento di rivolta.
Mantova fu la provincia dove ci si mosse di più per preparare una coscienza civica. In questa città viveva ed agiva don Enrico Tazzoli che aderì al movimento di Mazzini ed organizzò una congiura, che sarebbe stata chiamata poi “di Belfiore”, dal nome della località dove i martiri furono giustiziati. Le basi dell’organizzazione vennero poste in una riunione tenutasi nel novembre del 1850, in una casa di via Chiassi. Diciotto mantovani parteciparono a questa storica seduta, tra cui Giovanni Acerbi, Carlo Poma, Achille Sacchi, lo stesso Tazzoli ed altri.
Fu affidata a don Tazzoli l’emissione di un prestito per la raccolta di denaro di piccolo taglio per non dare nell’occhio. L’audacia dei mantovani era tale che le cartelle venivano offerte pubblicamente nei ritrovi pubblici. La congiura venne comunque scoperta per una circostanza fortuita. Don Tazzoli fu arrestato il 27 gennaio del 1852 e gli fu sequestrato il quaderno su cui annotava secondo un codice segreto i nomi degli affiliati e le somme raccolte per non essere accusato di disonestà nella amministrazione dei fondi segreti.
Qui erano anche segnate le uscite a favore del comitato mantovano. Non fu difficile a Vienna scoprire la chiave del cifrario che era il Pater Noster. L’Ispettore delle carceri politiche Francesco Casati, una volta informato del cifrario, si presentò sulla soglia della porta della cella in cui era racchiuso don Tazzoli ed iniziò a recitare il padre nostro. Il sacerdote capì che nulla avrebbe potuto più fermare l’opera spietata della polizia.
Nacque così il processo di Mantova che si tenne dall’estate del 1852 fino ai primi mesi del 1853. Vennero arrestati: Carlo Poma, Tito Speri, Carlo Montanari e altri iscritti di Mantova, di Verona, di Brescia, di Venezia. I “Martiri di Belfiore” trascorsero le ultime ore prima dell’esecuzione nel Confortatorio di Santa Teresa. La regia del processo fu affidata ad un giovane ufficiale boemo, l’auditore Kraus, che usò negli interrogatori l’intimidazione, lo scherno, la fame, i ferri e, se necessario, anche il bastone.
Don Tazzoli cercò di minimizzare la responsabilità degli altri e di non rivelare i nomi di quelli che si celavano sotto pseudonimi. Uno alla volta gli altri, vinti dalle torture fisiche e morali, stremati dai maltrattamenti, finirono per confessare e la confessione, per la Legge Austriaca significava morte. Dei principali imputati, Giuseppe Finzi e Luigi Pastro, che, conoscendo questa legge non confessarono, ebbero salva la vita, ma furono condannati assieme ad altri 150 cospiratori a lunghe pene detentive.
Don Enrico Tazzoli fu giustiziato assieme a Carlo Poma e ai tre Veneziani: Zambelli, Scarsellini, Canal, il 7 dicembre del 1852 nella valletta di Belfiore (luogo deputato alle esecuzioni) con l’imputazione d’alto tradimento. Il processo contro i rivoluzionari venne riaperto e il 3 marzo del 1853 vennero giustiziati, sempre a Belfiore, altri tre congiurati: Carlo Montanari, Tito Speri e don Bartolomeo Grazioli, arciprete di Revere, accusati di aver attentato alla vita di Filippo Rossi, Ispettore di polizia di Mantova.
Il 19 marzo del 1853, compleanno dell’imperatore, Radetzky elargì l’amnistia a tutti gli inquisiti in attesa di sentenza ma l’ ordine non fu fatto pervenire in tempo utile perchè Pietro Frattini di Legnago ne potesse beneficiare. L’ingresso è libero fino ad esaurimento posti.