(di Paolo Danieli) Nella legge di Bilancio il governo Meloni ha destinato alla sanità 136 miliardi con un aumento di 3 miliardi rispetto al 2023. La cifra più grossa mai stanziata per la salute degli italiani da qualsiasi altro governo, di destra o di sinistra, in numeri assoluti. Ma se andiamo a rapportare la spesa di un anno fa, testata dalla Ragioneria generale dello Stato a 129 miliardi, con i 136 della legge di bilancio, vediamo che l’aumento di 7 miliardi dal 2022 al 2024 corrisponde al tasso d’inflazione del 6%. Da ciò si deduce che in termini reali la spesa sanitaria non è stata aumentata, ma solo adeguata al valore della moneta.
Ciò significa che rimane invariato il rapporto spesa sanitaria/Pil, che resta inferiore alla media europea: 6,6% nel 2023 al 6,2% nel 2024 al 6,1% nel 2026 (dati Nadef).
Che la spesa sanitaria pubblica sia insufficiente a far fronte alle esigenze degli italiani è risaputo.
Lo sa anche la signora Maria, che quella volta che ha dovuto ricorrere al Pronto Soccorso per una distorsione alla caviglia ha dovuto aspettare 3 ore prima di essere visitata e poi altre 3 per avere una diagnosi, una terapia ed essere mandata a casa. E lo sa bene anche il signor Rossi che per fare il controllo cardiologico ha dovuto attendere 6 mesi.
Risorse insufficienti per la sanità
Ma lo dice anche la Corte dei Conti. Nelle audizioni che si sono svolte alle Commissioni Bilancio ha dichiarato: “Entro margini di manovra molto ristretti in cui si collocano gli interventi della legge di bilancio, le risorse destinate alla sanità sono certamente rilevanti. Esse non sono tuttavia sufficienti ad invertire il profilo riflessivo già disegnato nel quadro tendenziale”. Secondo la Corte dei Conti manca “l’individuazione di soluzioni più strutturali ai problemi del nostro sistema sanitario”.
A testimoniare che la sanità pubblica sta facendo acqua un po’ dappertutto, più al Sud che al Nord, c’è un dato che dovrebbe spaventare chi governa ed indurlo a prendere dei provvedimenti drastici invece di tirare a campà.
E’ quello fornito dalla Ragioneria generale dello Stato che quantifica in 40,26 miliardi la cifra spesa dai cittadini di tasca loro per le visite specialistiche, intramoenia o private, per gli esami diagnostici, per i farmaci e vari dispositivi medici, per il ticket e per andare dal dentista. Una spesa che in 6 anni è aumentata del 43%.
Sanità in peggioramento continuo
A parte il peso economico sul portafoglio dei cittadini che, non dimentichiamo, pagano le tasse, questa cifra dimostra un dato inquietante. La sanità pubblica in 6 anni è peggiorata. Altrimenti la gente non andrebbe a tirar fuori dei soldi per avere quelle prestazioni che di legge dovrebbero essere fornite gratuitamente. Se lo fa, è perché è costretta. A nessuno piace buttar via i soldi. Specie di questi tempi.
40,26 miliardi sono un quarto della spesa sanitaria totale. Sono un atto d’accusa nei confronti di uno Stato che non si capisce che cosa vuol fare. Che a parole proclama di voler difendere la sanità pubblica fondata sul principio universalista, ma nei fatti costringe una fetta notevole degli italiani a rivolgersi al privato. Uno governo che pare convinto di aver fatto chissacché aumentando di 3 miliardi le risorse per la sanità, ma che continua ad assistere praticamente immobile al declino inesorabile del Ssn.
Quello che emerge anche dalla legge di Bilancio è che manca la capacità di comprendere che continuando a fare dei piccoli aggiustamenti, tamponando i buchi del sistema, non si fa altro che aggravare la situazione. Oppure, se lo si è capito, manca il coraggio di mettere mano al sistema con una riforma complessiva in una visione globale.